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Prefazione di Arcangelo Ghisleri a “L’Italia e la rivoluzione italiana”

By 31 Agosto 2016Settembre 9th, 2016Senza categoria

Prefazione di Arcangelo Ghisleri a
“L’Italia e la rivoluzione italiana”

Due volumi di Raffaello Barbiera e alcune polemiche del Luzio resero testè famigliare al pubblico italiano il nome della Principessa Belgioioso, di questa donna d’ingegno e di vita singolari, che sussidiò le cospirazioni di Mazzini e accolse le idee dei sansimoniani, pubblicò quattro volumi sul domma cattolico e soccorse i profughi rivoluzionari in Parigi, dove il De Musset, Giuseppe Ferrari, Thiers, Giorgio Sand e una pleiade di altri intellettuali la circondarono della loro stima e amicizia. Scrittrice vigorosa e ammirata, accorre a Milano nel 1848 guidando un battaglione di volontari napoletani; poi, cadute tutte le speranze di Lombardia, la vediamo in Roma curare negli ospedali i feriti difensori della repubblica; viaggiatrice irrequieta nell’Oriente, e pacifica benefattrice de’ suoi contadini nel campestre ritiro di Locate; pensatrice positiva e sognatrice romantica; repubblicana e poi albertista; di nuovo repubblicana e poi cavourriana e autrice d’una apologetica Histoire de la maison de Savoie — questa donna singolare si presenta come la Sfinge, sfida e scombussola il pettegolo semplicismo dei cacciatori di aneddoti e la presuntuosa vanità dei critici, meriterebbe (ancora non è comparso) un biografo psicologo, il quale, alla profonda conoscenza dell’ambiente sociale e delle correnti storiche tra cui ella visse, accoppiasse la coscienza delle difficoltà di cogliere e spiegare tutte le faccie e le apparenti contraddizioni di quell’anima foscoliana, incarcerata nelle vibranti seduzioni della venustà femminile.

Di questa donna singolare noi pubblichiamo quì la storia breve, tacitiana, ch’ella scrisse della rivoluzione lombarda del ’48; narrazione degna di stare a fianco di quella del Cattaneo, alla quale in molti punti serve di complemento e di documento. Men sospetto, tanto più grave è il suo giudizio sugli uomini, che dopo la vittoria delle Cinque Giornate si presero nelle mani la somma delle cose e, o insinceri o deficienti, frustrarono lo slancio popolare del marzo portando il paese alle tragiche delusioni (il popolo disse: tradimento) della riconsegna di Milano all’Austriaco!

Molto si scrisse per contestare la fuga regia e le perfidie usate verso i cittadini, lusingati con augusta promessa insino all’ora della imminente entrata del Radetsky. La narrazione particolareggiata della Belgioioso, la quale era in Milano in quei giorni e personalmente si recò, essa medesima, messaggiera al re; di lei, che aveva propugnata la fusione col Piemonte, di lei, amica degli albertisti che avevano tenuto il potere, ci ritrae al vivo le scene tragiche di un popolo valoroso, che mentre rialzava le barricate preparandosi non dômo ai supremi cimenti, si trovò ceduto come ostaggio imbelle alla mercè del nemico da quel re, alle cui mani aveva affidato, col pieno abbandono de’ suoi poteri e dei suoi averi, la tutela della conquistata libertà.

Originalmente scritta in francese, per far conoscere la nostra rivoluzione a coloro, che dei patiti rovesci toglievano pretesto a denigrare il nome italiano, questa storia usciva nella Revue des Deux Mondes del 15 settembre (L’insurrection lombarde et le gouvernement provisoire de Milan) e del 1 ottobre 1848 (La Guerre de Lombardie et la capitolation de Milan) e subito era tradotta, ed edita in lingua italiana a Lugano, per cura di quella «Tipografa della Svizzera Italiana» che insieme con quella di Capologo, fu l’officina vindice dell’italico patriottismo negli anni più foschi delle nostre sventure.

Riproducemmo il testo di questa traduzione fedele, conservandone lo stile, perchè esso medesimo ha un poco il sapore del tempo. Strana coincidenza! Cattaneo e la Belgioioso, senza sapere l’uno dell’altra, dettavano in quel medesimo lugubre settembre da Parigi i loro scritti memorabili, mossi dal medesimo intento di rischiarare le tenebre dentro a cui giaceva avvolta, per la mente dei forestieri, la verità dei fatti nostri. Entrambi narrano di cose vedute, ben note, parlano di persone viventi, hanno l’accento commosso di chi fu partecipe degli avvenimenti, ma si offrono con coraggiosa veracità, senza nulla sottacere o nascondere, quali testimoni alla storia imparziale dei venturi. Lo scritto della Belgioioso, fra cotanto rifiorire di pubblicazioni erudite e di «contributi» alla Storia del nostro Risorgimento, era un documento necessario, che sino ad ora mancava.

Abbiamo creduto di completarlo pubblicando il resoconto, dettato dal D.r Pietro Maestri e dall’avv. Francesco Restelli, membri del Comitato di Pubblica Difesa, e pubblicato a Lugano il 16 gosto di quello stesso anno, coi documenti (veramente preziosi) che vi erano allegati. Gli storici aulici l’avevano ignorato o avevano finto d’ignorarlo; ma esso parrà agl’imparziali così notevole fonte per la dilucidazione degli «ultimi tristissimi fatti di Milano» (questo il titolo della loro memoria) che ogni storico sincero, sdegnoso di piaggierìe e di leggende, non potrà a meno di tenerne conto.

Così anche noi, come semplici esumatori, crediamo di servire alla coltura e alla verità. — Se non riscuoteranno la considerazione dei Titi Livii o dei Padri Lorriquet dei giorni nostri, queste pagine serviranno ai Niebhur dell’avvenire.

 

Arcangelo Ghisleri.

 

(da http://www.liberliber.it)

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