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Cristina a Henrich Heine – Costantinopoli – 17 Settembre 1850

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Ortekin vicino a Costantinopoli

18 Settembre 1850

Mio caro Heine

Le invio una prova enorme del fatto che, da lontano come da vicino, penso sempre a Lei. La Signora Jaubert mi dà regolarmente Sue notizie, e se non Le do le mie più direttamente, è perché Lei non ha risposto (né fatto rispondere) alla lettera che Le ho scritto. Ora, Lei non può credere quanto mi sia penoso sostenere una corrispondenza che non è sotto forma di dialogo – Non so come iniziare una lettera se non così: ho ricevuto la Sua ultima alla quale mi affretto (più o meno) a rispondere. E finendo, se non posso dire: mi risponda presto, o: aspetto la Sua risposta, o qualcosa di simile, mi sento come se fossi in una stanza dalla quale vorrei uscire, ma della quale non troverei la porta –

Se avesse dettato, sia alla Signora Jaubert o a qualche segretario tedesco, anche solo due piccole parole alle quali potessi riagganciare una seconda lettera, non avrei mantenuto per così tanto tempo questo sgradevole silenzio. Ma, ci penso; Le ho parlato di una prova enorme di ricordo, e Lei è forse curioso di sapere che cos’è – Ecco – Lei mi ha spesso detto: perché non scrive un romanzo? E io Le ho detto le mie ragioni, che non è il momento di ridire, e delle quali Lei senza dubbio si ricorda, poiché Lei non dimentica nulla – Ciò mi è tornato in mente questo inverno, e ho voluto provare. Sono convinta di non avere tutto ciò che serve per scrivere un buon romanzo, ma mettendomi all’opera ho creduto di riconoscere che se non possedevo tutto, non mi mancava nemmeno tutto. Ma si è un così cattivo giudice di ciò che si fa e di ciò che si vale! Ed è così difficile riconoscere in qualcuno le qualità necessarie per giudicarci bene! Tra i miei amici dell’Accademia ne conosce uno che possa ben giudicare un romanzo? Consulterei forse il filosofo della storia?

Egli si addormenterà profondamente alla prima pagina. Consulterei forse il Signor Mohl? In primo luogo sarebbe la stessa cosa che consultare sua moglie, e poi il mio romanzo non è in sanscrito. Ecc. Ecc. Ecc. – Ho inflitto così tanto della mia scrittura alla povera Signora Jaubert, che temerei di farla cadere in sincope inviandoLe un quaderno di mio pugno – Tutto questo, è per scusarmi di chiedere a Lei, povero, martire, una cosa, un’occupazione qualsiasi.

Ma chi lo sa? mi dico, se il mio povero Heine non sarà contento di questa indiscrezione, della quale mi sento confusa? Chi sa se non troverà qualche piacere nell’ascoltare queste pagine scritte da una mano che ha così spesso stretto la Sua, a proposito di ricordi e di impressioni di cui riconoscerà la fonte? E rassicurata da questa speranza, e ricevendo gli addii di un amico che parte domani per la Francia, gli ho chiesto di portarLe questo plico. Ho fatto copiare in fretta e furia quello che ho potuto, vale a dire quanto il copista ha potuto. La copia è cattiva e chiedo scusa al segretario tedesco che avrà il doppio disagio di questa lettura – Non posso inviarLe che una parte del romanzo che d’altronde non è molto avanzato – Come mi succede per tutto ciò che scrivo, non so se ciò sia eccellente o detestabile, o, ciò che è al contempo peggiore e più probabile, né l’uno né l’altro – Il mio pensiero è di mostrare gli inconvenienti che risultano dal fatto che si vuole essere diversi da come Dio ci ha fatti – La mia Maddalena si è messa in testa che non può amare che una volta, essendo la persona più costante del mondo, ed è precisamente per questo che gli amanti si succedono, poiché si succederanno e Lei sa a memoria il seguito, benché nelle pagine che seguono Lei sia ancora solo al suo secondo, compreso il marito – È scritto di getto, ed esigerebbe una revisione minuziosa se dovesse mai vedere la luce. Credo che i caratteri siano veri e le osservazioni giuste, ma non ci sono avvenimenti, e di conseguenza non ci sono racconti, il che deriva da un difetto assoluto non dirò di immaginazione, ma di inventività, (se non preferisce dire d’invenzione).

Quando Lei avrà avuto la pazienza di ascoltare tutto il mio chiacchiericcio, mi renda il servizio di chiamare accanto al Suo letto, un buon tedesco perfettamente incapace di capire nulla e gli detti il Suo parere su quest’opera senza pronunciare il mio nome; poi faccia sigillare, e alla prima visita che Le fa la Signora Jaubert Le dia la Sua lettera, e La preghi di farla pervenire. Lei non può credere, mio caro, carissimo amico, con quale gioia scrivo queste parole: Lei farà, Lei dirà, che si riferiscono a un tempo ancora abbastanza lontano dal presente – È che il prolungamento della Sua vita, mi sembra ora, in base a ciò che mi dice la Signora Jaubert, estremamente probabile – Lei soffre meno, le Sue sofferenze sono tollerabili, e il Suo stato è stazionario da qualche tempo. Dio sia lodato; è stata sempre la mia speranza segreta vederLa arrivare a questo – Certamente se dalla piena salute di cui godeva qualche anno fa, fosse passato improvvisamente allo stato in cui si trova oggi, la trasformazione sarebbe stata intollerabile – Ma dopo aver sofferto e aver visto così da vicino la Sua disperazione così prematura, la vita come può ancora viverla non è da disdegnare – Non si tormenti per rimpiangere ciò che è perduto; ma goda di ciò che Le resta [lacuna nel testo] bile raggio di luce è un tesoro di un prezzo [lacuna nel testo] della cecità completa – E la Sua intelligenza che è rimasta ferma e brillante come un vero diamante, non è questo un bene sufficiente per ricompensarLa di molte perdite?

Ho il presentimento che ci rivedremo. Quando la voce che ripete non avrà smesso, dal mio momento di partenza, di gridare al mio orecchio la stessa parola, sarà soddisfatta e io non l’udrò più, tornerò a Parigi, e La ritroverò; [lacuna nel testo] Lei non mi verrà incontro, ma mi stringerà la mano, mi vedrà (forse non sarò granché da vedere) e converseremo –

Addio per oggi – da qui ad allora conversiamo un po’ per iscritto –

La Sua amica devota Christine

I miei complimenti premurosi alla Signora Heine


Note:

  • “La Signora Jaubert mi dà… notizie”  Cfr. anche la lettera scritta prima della partenza del febbraio 1850 (N. 867).

  • “ho voluto provare” Non è stato possibile determinare quale manoscritto del romanzo Cristina abbia inviato a Heine per un parere.

  • “il filosofo della storia”: François Mignet, membro dell’Académie Française e Segretario Perpetuo.

  • “Il Signor Mohl : Jules de Mohl era un orientalista e titolare di una cattedra di lingua e letteratura persiana al Collège de France.

  • di un amico” Non identificato.

  • “al segretario tedesco”: Heine aveva assunto un certo Ußlar o Ussner come segretario in autunno.

  • “e gli detti il Suo parere”: Il parere di Heine non è arrivato così come una lettera di risposta.

Cristina a Augustin Thierry – Costantinopoli – Luglio 1850

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Costantinopoli.

Senza data [luglio 1850]

Mio caro fratello,

È vero che Le avevo promesso una lettera sulla Grecia, ma questa lettera sarebbe dovuta venire dopo la Sua risposta a quella che gliela preannunciava. È anche vero che avevo preso talmente a noia la Grecia e tutto ciò che conteneva, che non avrei più saputo cosa dirne, se non: va’ a tutti i diavoli! il che non è né molto epistolare, né abbastanza letterario per esserLe indirizzato. Non c’è quasi altro che la luce ad essere degna del paese caro agli dèi olimpii e, in particolare, alla sorella di Apollo. Ho vissuto a lungo sulle nuvole, sugli effetti di luce, sui raggi del sole nascente e calante e altri sweets, ma alla fine, avevo preso in orrore persino queste belle cose. Non un albero, non un filo d’erba, non una goccia d’acqua limpida e abitanti che scimmiottano allo stesso modo l’antico e il moderno, senza avere il buono né dell’una né dell’altra epoca. Delle Miss Calliope che si fanno spedire le mode da Parigi (o anche Marsiglia) e che tengono fortemente a metterLa al corrente; un ministro che non sa né leggere né scrivere, un altro che ruba sulle strade principali: il tutto spolverato da una vanità colossale e nauseabonda. Questa brava gente crede che il destino dell’Europa sia nelle loro mani e sono stati molto fieri del modo in cui si è risolta la disputa con l’Inghilterra (1). Insomma, fa pietà, e la pietà per le persone che non si amano è un sentimento molto sgradevole.

Eccomi dunque nel vero Oriente, anche se oggi mi trovo all’occidente del mio soggiorno di quest’ultimo mese. In breve, ho viaggiato trentanove giorni in Asia e Le dirò in un fiato lo scopo e il risultato del mio viaggio. Lei ha indovinato fino a un certo punto, ma il Suo affetto per me Le fa considerare la verità da un punto di vista che non è quello giusto. Mi applichi pure i versi di Virgilio, ma non pianga e non abbia paura.

L’idea di una colonia mi frulla nel cervello da molto tempo e i Greci l’avevano dapprima accarezzata, promettendomi denaro e terra. Poi sono arrivate le note russe e altre, poi la chiusura delle Camere, poi il blocco e, infine, mi sono stancata di aspettare e me ne andai, o meglio, venni qui, non pensando più granché a questo progetto che mi aveva tanto preoccupata. Trovai qui i ministri americano, piemontese e altri, che mi incoraggiarono a riprenderlo, assicurandomi che aveva grandi possibilità di successo.

Mi ci rimisi dunque, ma non avevo ancora inviato il mio progetto al Gran Visir, che ecco farsi avanti un uomo strano, ma che qui gode di un’immensa influenza e fa più o meno quello che vuole del governo. Quest’uomo comincia col rovesciare tutto il mio piano e le mie idee. «Lei chiede un terreno vicino a Costantinopoli,» mi dice, «Le serve uno in Asia, lontano da qualsiasi sorveglianza ostile o maligna; Lei chiede una concessione, il che implica un possesso temporaneo, e Lei deve acquistare una proprietà che sia bene Suo e di Sua figlia in perpetuo

«Acquistare,» risposi, un po’ impazientita, «è presto detto, ma con quali soldi?»

«Le propongo un piccolo regno per $6.000$ piastre turche ($1.200$ franchi), crede di non riuscire a trovarli?»

«Andiamo a vedere il piccolo regno,» risposi; ed eccoci in viaggio per l’Asia. RaccontarLe ciò che ho visto laggiù significherebbe attirarmi l’appellativo di visionaria. Eppure, sono precisa e nulla spiega il completo abbandono di tali tesori, se non il carattere del musulmano e l’assoluta mancanza di popolazione. I miei compatrioti aspettano un mio segnale per venire in gran numero a popolare il mio piccolo regno. La difficoltà è nella scelta e non posso scegliere a distanza. Se mi arrivano dei bambini, delle teste leggere, sempre entusiaste all’inizio e presto disgustate, non farò altro che un fiasco; ma se riesco ad attirare una dozzina di famiglie laboriose e solide, il mio affare è fatto. Non ne ricaverò granché ora, ma Marie si troverà in pochi anni a capo di una magnifica proprietà. Il luogo è molto vicino alla vecchia Cesarea, che oggi non ha più un solo abitante. Anche lì c’era una città, le cui rovine esistono ancora, e ciò appare persino dal nome di Verenegli o città distrutta.

Sono tornata a Stamboul, decisa, e mi assicurano che firmerò il contratto oggi o domani. Ci tornerò poi tra un mese o due e vi riceverò i coloni che verranno a stabilirvisi prima dell’inverno.

Veniamo, ora, al capitolo delle Sue preoccupazioni. No, mio caro fratello, non penso a farmi, qui, una nuova patria. Il mio pensiero è di aprire un asilo ai miei compatrioti laboriosi e di preparare una possibilità di prosperità a Marie. Per me, non ho altra intenzione se non quella di occuparmi utilmente durante il mio esilio. Non creda che io rimanga lontano da Lei perché mi ci trovo bene, né che io ci torni perché mi trovo male altrove.

Lei mi parla di progetti abbandonati, di illusioni distrutte; in buona fede, mio caro fratello, è colpa mia? Ho forse innalzato o potevo prevedere che si innalzasse un muro di sangue tra le mie due patrie? Gliel’ho detto: finché la Francia accetterà il giogo dell’uomo metà idiota e metà infame che ha comandato il misfatto di Roma, finché i Suoi generali e i Suoi ministri si aggireranno impudentemente nelle strade di Parigi, io non metterò piede sul suolo francese. Ma pensa che il mio ritorno sia lontano per questo? Io non lo credo. L’anno $52$ non è lontano ed è, credo, il termine più remoto di un potere che mi ripugna e che io detesto. Non appena sarà stata fatta giustizia, lascerò tutto, fosse anche la mia vera patria, per venire a passare almeno un po’ di tempo accanto a Lei.

Non tema, del resto, le distanze. Non sono più nulla per me. Non farò più storie per imbarcarmi oggi per Marsiglia di quante Lei ne faccia per andare all’Istituto. Non ne dubiti. Non metto radici da nessuna parte e appena potrò vedere la Francia senza un moto di sdegno, sarò vicino a Lei. Le notizie che mi dà della Sua salute mi sono molto penose e Dio solo sa quanto vorrei essere accanto a Lei! Speriamo che la fine del caldo porti un miglioramento.

L’abbraccio fraternamente e teneramente.


(1) Palmerston aveva appena inviato una squadra navale al Pireo per sostenere le rivendicazioni di un ebreo di Gibilterra, suddito inglese, Don Pacifico, la cui casa era stata bruciata dai Greci e che reclamava un formidabile risarcimento. Il governo ellenico riuscì a ottenere una forte riduzione.


(Tradotto dall’originale in francese)

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