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Diario turco – Seconda parte

Viaggio da SafranBolu a Gerusalemme

29 marzo 1852

By Diario turco - Seconda parte

29 [ marzo 1852]

Noi donne non abbiamo chiuso occhio per le infinite pulci . Gimbelletta è un sito delizioso situato vicino al mare a poca distanza dal Djebel(1)  ……….. in mezzo a verdi praterie- Dinanzi alla Moschea si stende un tappeto d’erba che farebbe invidia ad un giardiniere Inglese.- Alcuni alberi secolari gettano l’ombra dei loro rami su quel luogo solitario e ritirato-

La Moschea dicesi fabbricata 600 anni sono dalla madre di certo Sultano Ibrahim- Questi avea abbandonato segretamente la sua corte, e vestito da Dervch era venuto in quel luogo a far penitenza- Morì la madre, che si era messa in traccia di lui, lo rintracciò , ma più non trovò che un cadavere, né altro potendo fare gli innalzò questa Moschea per tomba- Mi mostrano l’interno dell’edifizio – Simile alle altre Moschee che io vidi- La tomba ossia il sarcofago anch’esso al solito- Quando ho finito la visita una dozzina d’Arabi si precipitano sul Console per avere il Bachchi- Egli non si libera che gettando un pugno di pezzette per terra- Antinori ed Alepson sono andati a visitare un anfiteatro Romano che trovarono benissimo conservato ed assai bello- Partiamo alle 7,30  scortati da 8 o 10 Zappetiers- Dopo due ore e mezzo ci fermiamo in mezzo ad alcune rovine sulla riva del mare- La vista è magnifica- Sempre quel verde cupo dei prati cospersi di fiori- Innanzi a noi il mare color di zaffiro ed a pochi passi dalla spiaggia, una lingua di terra posta parallelamente porta alcune altre rovine. Si riparte e i Zappetiers ci lasciano. Passiamo Baguais – Più tardi ci fermiamo di nuovo presso al mare- Anche una terza volta poco lungi da un fiume- Rimessi per via scopriamo Tortosa che ci pare vicina . Inganno- Caminiamo (sic) un’ora e più di notte e ci crediamo smarriti- Chiamiamo, tiriamo colpi da fuoco per svegliare l’attenzione di Nadj Mustafà- Inutilmente- Seppimo poi che tutti coloro che ci udirono si erano chiusi nelle case per timore di una invasione dei Montanari- Quando Dio vuole entriamo in Tortosa – Città tutta antica ossia del medio evo- Fabbricata e fortificata dai Crociati- Alloggio pronto in casa dell’agente Consolare Inglese- Giungono anche i Katergi, e ci corichiamo.

(1) Jabal (جبل), che significa “montagna”. In questo caso, si riferisce alla catena costiera che domina l’area: il Jabal Ansariyya (Monti Alawiti o Nusayriyah).

28 marzo 1852

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28 [ marzo 1852]

Notte discreta, sebbene con pulci.- Stiamo per partire, ma il danaro non si vede.- Il Console dorme fino alle 8- Mando in giro il suo Dragomanno, ma essendo Domenica tutti i negozianti del paese sono in chiesa- Frattanto viene il Vescovo a farmi visita. Vengono pure i principali negozianti del paese- Ho dimenticato di dire che ieri fummo a vedere due archi di trionfo Romani, l’uno attribuito a Vespasiano, l’altro a Caracalla- Ho incontrato una donna Beduina colle labbra tinte in blu, e la faccia scoperta. Fisionomia geniale- Verso il mezzo dì torna il Dragomanno col danaro- Dovrà essere rimborsato a Beyruth in lire sterline, perché in quella città le lire sono a due piastre di più che a Lattakia. Il Console aveva scritto a Schemsin Sultan capo dei contadini rivoltati  a motivo della costrizione per indurli a sottomettersi- Ora ne riceve per risposta che seguiranno sempre i suoi consigli, e faranno quanto vuole- Soggiunge che gli impiegati del Governo hanno fatto sbagli mostruosi nell’iscrivere i coscritti; mettendo p.e. un vecchio di  sessant’anni in luogo di un giovane di 20, e chiede che tali errori siano rettificati- Il buon Console giubila, ed ha ragione- Partiamo finalmente, e andiamo a Gimbelletta ove trovasi il fratello del Console Inglese, il Console di Prussia, marito di quella giovinetta di 12 anni che vidi a Lattakia- Il Console di Prussia ci ha preparato quattro stanze nella Moschea. Ma Dio mio! In una di queste, il pavimento era coperto d’immondizie e di sterco. Le altre erano state spazzate in quel punto- Impossibile di abitarvi- Mettiamo i nostri materazzi in una specie di vestibulo aperto, i Sig.ri si adagiano sul terrazzo e vien la notte-

27  marzo 1852

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27  [ marzo 1852]

Notte discreta- Partiamo di buon mattino, e ci perdiamo ancora- Prendiamo per guida un Ansais che ci rimette sulla strada- Verso il mezzo  giorno entriamo a Lattakia , e andiamo a smontare dal Console Inglese.- Bella casa, bella moglie e buone maniere- Ci ha preso una casa contigua alla sua, ma ha preparato per me una camera nella stessa sua casa. Viene il Console Sardo, Gesuita sciocco.- Mi occorrono 2000 piastre, ho due lettere di credito- Antinori ne ha una pel fratello di questo Signor Vitali, che però non paga.- Il Console Inglese promette, ma deve mandare al Bazar a riscuotere non avendo in casa la somma.

26 marzo 1852

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(posizione approssimativa. A tre ore da Latakia)

26 [ marzo 1852]

Notte discreta, ma terminata bruscamente alle 5 a.m. perché si tratta di riparare la perdita del tempo e di arrivare oggi a Latakia- Io son persuasa che non si puo’, ma Alepson sostiene che si. Partiamo verso le 7 quasi nel tempo stesso che i soldati, ma li lasciamo  indietro.- Il tempo minaccia, e presto scoppia- Piove dirottamente- Dopo 4 ore di viaggio scorgiamo a mano diritta alcune case, che ci si dicono per tenere a Felluk- Ma si fa tardi, abbiamo fame, i cavalli sono stanchi, andiamo a cercare fortuna da Fellah e Ansciri. Abbiamo caminato sin qui su pei monti, e giù nelle valli- Volgiamo a diritta e scendiamo  per un ripidissimo sentiero in fondo ad un vallone, dopo di che risaliamo su del monte dirimpetto e giungiamo a Kissadj Kuy(1)- Le donne e i ragazzi, e anche alcuni uomini si eran fuggiti nella montagna con le loro robe, quando ci videro da lungi a comparire pigliandoci per l’avanguardia dei soldati- I rimasti richiamano i fuggiaschi, e vediamo una bella e pulita, sebbene poco numerosa popolazione.- Ci asciughiamo un pochino, beviamo del latte e delle uova; poi quando il tempo sembra rimesso rimontiamo in sella – Sempre monti, e pessime strade, ma belli alberi, belle praterie, e bel paese. Caminiamo (sic) nel letto di un grandissimo torrente che passiamo tre volte- Informatici della distanza che tuttora ci separa da Lattakia riconosciamo impossibile di giungervi, e ci decidiamo a passare la notte ad un villaggio distante 3 ore dalla Città- Entriamo finalmente in un vasto piano, ma si fangoso che si cammina peggio ancora che sulle rocce- A capo al piano s’innalza una piccola catena di monti- Li saliamo , e ci si promette Sonlaih sull’opposto pendio- Il Seis Egiziano dice di conoscer  quel luogo e ci guida su per un colle giù in un vallone, e su di nuovo, e giù ancora e il villaggio non si vede. Arriviamo sulla cresta dell’ultimo colle- Abbiamo in faccia una vasta pianura terminata dal mare- Due piccoli villaggi appaiono a molta distanza nella pianura, ma Sonlaih dovrebb’ essere vicino- – Ecco alcune tende di Turcomanni- C’informiamo e sentiamo di essere allontanati più d’un’ora dal  Konak – Prendiamo per guida uno di essi Turcomanni, e giungiamo a notte a Sonlaih. Hadj Mustafà non vi si trova. Il Katergi neppure- Ci accomodiamo alla meglio, ma male assai

(1) Kissadj Kuy deriva da Kısacıköy. Kısacık significa “molto corto” o “molto breve”. Köy significa “villaggio”.

25 marzo 1852

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25 [ marzo 1852]

Notte buona, il tempo minaccia,pero’partiamo alle 8; poco dopo sopragiunge una forte pioggia che penetra i nostri materazzi (parola cancellata e sostituita con “macblete”) e sino alle nostre ossa – Incontriamo i soldati che lasciarono il villaggio un’ora prima di noi, e li avanziamo- A mezzo giorno dopo costeggiato un picciol lago giungiamo ad Onckui, grosso villaggio abitato da Greci e da Turchi.- Io vorrei proseguire, ma tutti mi si mettono dattorno per trattenermi. Più innanzi non troveremo alloggio né ricovero.- La pioggia è imminente; le strade pessime; le mule del Katergi sono stanche- Mi sottometto; ma di malavoglia.

24 marzo 1852

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24  [ marzo 1852]

Notte ottima; ma piove dirottamente, e dopo molto esitare ci risolviamo ad aspettare un giorno.- Il capo del villaggio viene a consultarmi sulla sua salute- Bellissimo giovane; colorito delicato e femminile, corporatura un pò grossa; sguardo dolcissimo, espressione languida. Facilmente mi accorgo della cagione del suo male.- Ha due mogli- Mi prega di visitarne una che ha un male alla mano- Lo accompagno nel suo Harem . La sua prima moglie ha un maluccio di niuna importanza. Tre bei figliolini somiglianti al padre- Alepson che fa il Dragomanno essendosi ritirato, la moglie si scopre, e mi mostra una bellissima figura- è ardita, provocante anco in mia presenza , il povero marito che la lascia fare non senza un pò di confusione- Sopraggiunge la seconda moglie ancor più bella della prima e assai più giovane – Non ha figli- Tutte due  sarebbero chiamate sfacciate in Europa, e la malattia del Bey mi spiega più chiaramente- Questo Bey è assai ricco; possiede quasi tutte le terre vicine; è governatore, cioé riscuote il tributo, e non lo paga.- Ha un bel turcasso con cinque frecce di ferro come le adoperano gli Arabi nel Djerd- Sono aspettati da Antiochia 800 soldati che vanno a combattere i Drusi del territorio di Latakia, i quali ricusano di sottomettersi alla coscrizione- Capiteremo in mezzo alla guerra- Visito anco le mogli del mio padrone di casa.- Son due,e non hanno figli propri ;ma la maggiore serve di madre ad un figliolino infermo che il marito ebbe da una terza moglie morta nel partorirlo – le cure di questa donna (Araba)sono proprio materne-

23 marzo 1852

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23  [ marzo 1852]

Notte pessima- Mi svegliano col dirmi che le Autorità militari hanno requisito i cavalli del nostro Katergi, ma li hanno poi rilasciati- Non permettono però ad Alepson di affittarne uno sino a Latakia – Questo accidente ci trattiene sino alle 11 a.m.- Viaggio penoso- Sulle prime caminiamo (sic) fra colli ridenti nella direzione del mare. Quindi pieghiamo a sinistra ed entriamo in una stretta gola. Saliamo il monte di diritta . Strada pessima- Sulla cima facciamo colazione- Crediamo di dovere scendere dal monte che salimmo, ma dopo brevissima discesa si riprincipia a salire dolcemente costeggiando monti sassosi ed aridi.- Finalmente ci troviamo ai piedi di una specie di scala tagliata nella roccia- Si sale- Kur con furia gridando e sbuffando, si ch’io suppongo vi sia sulla cima una cavalla- Pare acciecato; – Si arrampica su di una costa che dal lato opposto è tagliata a picco, e salta giù senza interrompere la sua corsa- Scopro finalmente  un  Arabo ch’é venuto a cavallo ad incontrarci dal Kocchkui-Il suo cavallo e Kur nitriscono a vicenda con un enfasi tale che sembrano impazziti- Sono tutti tremanti- L’Arabo dice che si conoscono; forse sono fratelli o almeno concittadini- Soggiunge che i cavalli Arabi son tutti così- Kocchkui villaggio pulito, terre coltivate , popolazione bella, industriosa, e agiata.

22 marzo 1852

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22  [ marzo 1852]

Notte buona- Tempo piovoso- Verso le 10 a.m. cessa la pioggia e ci mettiamo per via. Caminiamo (sic) verso mezzo giorno nelle gole formate dal Giavur Daghda (1) – Strada pessima e faticosa. I monti vanno perdendosi, e sbuchiamo dopo 2 ore e trenta di viaggio in un piccolo piano bagnato da un lago, sulla riva del quale v’é un antico e bel Khan rovinato; sul colle a man diritta un piccolo villaggio composto di 15 o 20 case- Facciamo colazione e ripartiamo costeggiando il lago a sinistra, e gli ultimi colli a diritta, dai quali gran numero di torrenti vanno a gettarsi nel lago (2)- Terminati i monti ci vediamo innanzi una gran pianura terminata da una gran catena di monti, ai piedi dei quali fra dessi monti e il fiume Oronte è situata Antiochia (3). L’Oronte comunica col lago suddetto- Debbono essere torrenti che riuniti in un corpo formano prima di affluire nell’Oronte (4) , quel lago medesimo- Traversiamo la gran pianura ch’é un orrido pantano- Passiamo su di un vecchio ponte, un ramo dell’Oronte che pochi passi avanti la città forma col braccio principale una specie di Delta- Passiamo l’Oronte su di un altro vecchio ponte, e entriamo in Città.- Alloggio dal Vi.   Console Inglese- Casa piccola discreta, ma trista.- Guarda sul fiume- Alcune larghe ruote ne portano l’acqua in tutte le parti della città- Fortificazioni lungo la cresta dei monti, che mi ricordano Genova- Popolazione: 1000 case Turche, o Arabe- 500 fellah o ansegris

o idolatri.- 250 Greci- Un Kaimakan- Bella caserma fabbricata da Ibrahim Pachà ora abbandonata e cadente.

Note:

(1) Gâvur Dağları (Montagne degli Infedeli)

(2) Antico Lago di Antiochia (o Lago di Amik, in turco Amik Gölü). Il lago si estendeva ai piedi del massiccio montuoso e fungeva da grande bacino idrografico per i numerosi torrenti che scendevano dai monti prima di confluire nell’Oronte. Era noto per la sua ricchezza e per le condizioni paludose, come descritto: “la gran pianura ch’é un orrido pantano.” (Il lago è stato prosciugato nel XX secolo per ragioni agricole e sanitarie).
(3) Antakia. Antiochia fu una delle capitali più importanti del mondo antico (capitale dei Seleucidi, sede del governo romano, e uno dei centri iniziali del Cristianesimo).
(4) Asi Nehri in turco

21 marzo 1852

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21  [ marzo 1852] Domenica

Il cavallo non è in grado di viaggiare – Antinori dopo molte fluttuazioni si decide a lasciarlo ad Alessandretta sino al nostro ritorno- Prendiamo un cavallo a nolo e partiamo- Ma strada facendo cambia d’avviso, e si decide a rimandar Pietro ad Alessandretta da cui ripartirà fra tre o quattro giorni per Beyruth col cavallo ristabilito- In 2 ore e mezzo si giunge a Beynam(1) ove dobbiamo rimanere sino al dimani. Sito orribile- Casa sporca e miserabile.- 150 case Armene e 500 Turche- Prodotti, un pò d’uva.- Vi è però un Kaimakan, ma deve essere l’infimo fra i Kaimakan- Il borgo è situato dentro una gola sul pendio del monte- Cosicché tutte le case sono al disopra l’una dell’altra- La parte posteriore del maggior numero di esse è appoggiata al monte, e la roccia fa l’uffizio di muro- Facce pallide e malaticcie- I Gavas di Adana sono partiti, ma Alepson ha rimandato il suo cavallo, e mi accompagna a Gerusalemme- Pietro è tornato indietro coi Gavas.

Note: Belen. Città che domina il cruciale passo di montagna sulla via da Alessandretta ( Iskenderun) verso la Siria.

20 marzo 1852

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20  [ marzo 1852] Sabato

Notte buona per me- Andiamo a passeggiare sul lido, e troviamo molte belle conchiglie, e brecce vaghissime- è giunto un Missionario Americano colla moglie da Anter ove convertì al Protestantismo seicento persone, ma non so di qual fede- Qui già la moglie sta predicando sulla strada ad alcune donne- Di ciò avvertita esco per vederla, ma s’era di già ritirata nel suo Konak – Vanno a Beyruth – I Francesi sono partiti stamane per Aleppo . Il cavallo sta maluccio- Vediamo alcuni soldati- Ci dicono che la guarnigione è di 120 uomini.

19 marzo 1852

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19  [ marzo 1852] Venerdì

Notte discreta- Visita alla prima moglie di Mustuk Bey, dalla quale vengono le altre tre- Una di esse è malata. Il cavallo di Antinori zoppica, ma gli dicono che caminando gli passerà, e così partiamo- Voltata la punta sulla quale sta il Khan di Bajas scorgiamo Alessandretta sulla riva del  mare, ed alcune vele che stanno per entrare in quel porto- Il paese è bello, e rassomiglia a quello che traversammo la sera innanzi- Poco a poco però le nubi si abbassano sopra i monti che coprono, il mare verdeggia ed annerisce , il cielo s’imbruna, il vento si leva e la pioggia cade con furia- Siamo zuppi- Quando è cessata la pioggia e cominciamo ad asciugarci, giungiamo presso ad una capanna di doganieri nella quale Nadj Mustafà avrà fatto accendere del fuoco nella previsione di quanto difatti ci accadde- Scendiamo da cavallo, ed appena siamo entratri nella capanna che la pioggia cade a torrenti- Due ore di fermata- Appena cede il cattivo tempo che ripartiamo- Due ora ancora di viaggio varcando in linea quasi retta i colli che formano la sponda del mare; poi scendiamo sulla spiaggia, ed arriviamo alla città composta di sei case e di 96 capanne- Le case sono i consolati, e la quarantena, e la caserma.- Le capanne sono pei cittadini- Scendiamo dal Viceconsole

Sardo, che ci riceve freddamente- Nel sentire però il mio nome, si apre la sua fisionomia, e mi offre i suoi servizi, la sua casa etc.- Il Viceconsole, o suo facente funzione intanto Sig. Satr. mi ha fatto preparare la casa ora disabitata del Consolato.- Mi rallegro al solo pensiero di pernottare in una casa Inglese e mi affretto di arrecarmi alla mia nuova abitazione.- Il cavallo di Antinori ha peggiorato, né si può pensare a proseguire oggi il nostro viaggio-  La casa Inglese è una spelonca, una rovina, peggio che una stalla- Porta e finestre rotte, mura scrostate, pavimento scomposto, e coperto di una patina di vecchia polvere convertita in mastice- Sedie, e sofà bucati e stracciati e  sudici oltre ogni dire. Mando Nadj Mustafà da qualche Turco pregandolo che mi dia qualche materazzo, i miei essendo zuppi dalla pioggia- Torna Nadj con alcuni bei materazzi e coperte- Nella stanza ove stanno gli uomini c’é un puzzo di cimici che ammorba- Qui vi sono alcuni Francesi mandati dal loro governo a  Monysan  per istabilirvi un Naras- V’é con essi un veterinario che preghiamo di visitare il cavallo di Antinori- Dice che non sarà niente;ma non può viaggiare domani- Bisogna dunque aspettare un giorno.

18 marzo 1852

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18  [ marzo 1852] Giovedi

 

Notte pessima per le infinite  pulci ed altri animalucci. Alla mattina verso le 7,30 a.m. ci mettiamo per via avendo accresciuta la nostra scorta di altri quattro Zappetiers- Nove in tutto,.

e Kadj Mustafà- Dopo pochi passi scorgiamo un attendamento assai esteso di Turcomanni- Presso alla strada vediamo un gruppo di gente- Sono le donne, i ragazzi, ed alcuni uomini del campo venuti ad augurarci il buon viaggio- Le donne s’inchinano dinanzi al mio cavallo, e si ritirano- Più innanzi su di una picciola altura scorgiamo 5 o 6 uomini armati a cavallo- L’uno è il capo dell’attendamento Dedé Bey antico capo dei briganti, che si pacificò col governo nella occasione della coscrizione, e si ebbe in compenso questa posizione- Il Dedé Bey (Principe degli avi) dice di volerci accompagnare coi suoi, per timore  che alcun disturbo ci accada. Ringraziamo, accettiamo, e tiriamo innanzi- Andiamo inoltrandoci nelle gole formate dai monti che dividono il piano di Adana dal mare.- Un Arco in rovina, gettato sulla strada, e dà a questa gola il nome di Porta  Scura.- Due o tre capanne sono intorno a quella porta, e 6 guardie a piedi che la occupano si mettono in rango lungo la via per farci onore- Dopo alcuni giri per quelle gole, spunta da lungi il mare, ma talmente chiuso fra i monti che sembra un lago -Siamo nel fondo di un golfo che si stende al S.O. ed è il golfo di Alessandretta- Esciti dai monti caminiamo (sic) nella spiaggia deserta sino a che il suono di un tamburo ci annunzia la vicinanza di alcuni indigeni- Egli è difatto l’inviato di altro attendamento Turcomanno, venuto ad invitarci a fermarci da loro. Siccome è l’ora di far colazione, accondiscendiamo- La intera popolazione ci si fa intorno. Sono tutti briganti, ma con noi si mostrano cortesi , ci danno latte, aranci, e belle parole, in cambio di qualche parà- Il sito è ridente; presso al fiume chiamato come tutti i suoi confratelli Giavur Daghda perché proviene da quello, onore che divide con almeno altri venti corsi d’acqua.- La prateria fitta e fiorita;   Vediamo più e più migliaia di cicogne che dall’Arabia , o dall’Egitto risalgono in climi più temperati- Ci separiamo dai nostri amici e montiamo a cavallo- Lungo la via incontriamo molti briganti, ma ci salutano, e nulla più-Quando son numerosi, alcune delle nostre guardie li circondano e li tengono a dovere sino a che tutto il nostro convoglio è passato: poi li lasciano, e ci raggiungono- Quattro, e più ore di viaggio lungo il mare sulla spiaggia arenosa- Traversiamo molti fiumi, o torrenti tutti chiamati Giavur Son- Verso sera giungiamo al Konak  che è la residenza di Mustuk Bey, capo attuale di tutta la popolazione del Dgiavur Daghda- è assente, ma la sua casa è a nostra disposizione- Un suo amico, o parente ci dà ad intendere che il Dgiavur Daghda contiene una popolazione di 150000 fucili- Il che farebbe almeno 500000 anime.- Dieci giorni in lunghezza ed uno in profondità- Il Dedé Bey ci ha lasciato poco dopo la colazione , e durammo fatica a fargli accettare un Bakechiele pei suoi uomini – M’invitò a fargli visita al mio ritorno.Mustuk Bey ha cinque mogli, sebbene alcuni sostengano non oltrepassino il numero legale di quattro- Quattro  io ne vidi; una che fu bella, ma alcuni anni fa , due né  furono né sono, né saranno altro che brutte; ed una che è bellissima- Ognuna di esse ha casa separata in cui è padrona- Oltre codeste quattro, piglia quante ragazze gli aggradano dalla montagna, e le rimanda quando n’é stufo- Il luogo è delizioso; un vero Eden.- Prati, interrotti da cespugli di dafni, allori, aranci, leandri intorno ai quali serpeggiano stretti sentieri, mentre la maestosa palma s’innalza solitaria in riva al mare.- Un servo ci assicura che gli abitanti del Dgiavur Daghda atti a portar l’armi non oltrepassano i 5 o i 6 mila- Notte discreta, ma turbata dagli urli dei chaqual che non cessarono sino a giorno chiaro- Nella notte due mule del nostro Katergi furono involate – Essendomi di ciò mostrata sorpresa, il Kiajà di Mustuk Bey mi fece osservare che quelle mule erano alloggiate al Khan, e non al Konak.

17 marzo 1852

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17  [ marzo 1852] Mercoledì

Notte discreta- Alla mattina vento e pioggia- Verso le nove s’apre il cielo e partiamo- Due ore e mezzo di viaggio lungo la riva sinistra del fiume, dopo varcato il ponte si scorgono verdi praterie.- Incontro dei ladri- Alcune delle nostre guardie li conducono fuor della strada, ed ivi li trattengono sinché non passati tutti i nostri bagagli-Passiamo il monte di cui parlai ieri, ossia Giabanour, presso a  Ghiavur Daghda(1) .Facciamo colazione dall’altra parte di questi monti a Kuro Kui villaggio abitato da quei medesimi ladri che più su incontrammo- Vento violentissimo- Ci fermiamo due ore durante le quali scema- Poi partiamo alle 2,30 p.m. e traversiamo tutta la gran pianura che divide Giabanour e Ghiavur Daghda  da Menel Dagha , e da Tchanglen Kilissy (2)- Traversiamo un piccolo fiume detto Sarren  Coulan (orecchio giallo)(3) sul quale è un ponte mezzo rotto- Il piano è tutto ricoperto di fiori. Narcisi a tazzetta e anemoni rossi- Sulla prima catena di monti, ossia sul Giabanour proprio sulla cima di uno di essi, vidimo un vecchio rovinato castello detto Sheh Mahran, ossia re dei serpenti, perché in esso erano tenuti molti grossissimi serpenti cui gli abitanti dei vicini villaggi portavano quotidianamente quanto latte loro occorreva. Ora chi disse che tal costume durava, chi invece che i serpenti non esistevano più- Giova l’osservare, che in queste parti abitava anticamente una popolazione Armena adoratrice dei serpenti- A Kuro Kui sonvi 10 case , quattro Curde, e 6 Turche;coltivano grano, orzo, cotone, ma il loro principale prodotto è il furto.- Spesso vengono assaliti dalle pantere, i cinghiali, e le hiene, che abbondano in quei monti, siccome i cervi e le gazzelle.- Lo stesso a Missis.- Ripartiamo da Kuro Kui col tempo più tranquillo ed arriviamo in altre due ore a Kuro Kolan, Kan, ossia castello antico in rovina,nelle mura del quale sta rinchiuso il villaggio- Poche capanne di paglia e canne-La porta del castello sembra di costruzione Europea del tempo delle crociate- Il Khan grande,solido,ed imponente edifizio,mi parve a primo aspetto dovere avere la medesima origine,ma i camini disposti alla foggia Orientale dei Khan,ed evidentemente contemporanei del rimanente della fabbrica,mi lasciano in dubbio essere invece di costruzione Araba o Turcomanna- Ci si parla di una città abbandonata poche ore distante, in cui esistono ancora palagi e giardini deliziosi- Soggiungono che un Europeo venne l’anno scorso a stabilirvisi con alcuni compagni,ma gl’indigeni ne lo cacciaron, uccisero alcuni dei coloni,e misero gli altri in fuga,- Storie-

Note:

(1) Gâvur Dağları: Questo è un nome storico e geografico definito. Gâvur Dağları significa “Montagne degli Infedeli”. Storicamente, questo nome era spesso dato a catene montuose abitate prevalentemente da popolazioni non-musulmane (come Armeni o Aleviti) o da tribù ribelli che sfuggivano al controllo ottomano (i “ladri” incontrati).

(2)Tchanglen Kilissy: Kilissy è una trascrizione di Kilisesi (Chiesa).
(3) Sarı Kulak

16 marzo 1852

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16  [ marzo 1852] Martedì

Partiti alle 10,30 a.m. accompagnati da trentadue cavalli e cavalieri- Cinque guardie, ed Hadj Mustafà, il Console Sardo, suo Dragomanno, suo Gavas, e suo amico Sig. Ernesto incaricato del Console Inglese; I tre Dottori, e il Gavas del D.r. Orta; tre persone della casa ove alloggiai.- Il mio padron di casa non volle pagamento, ma mi chiese bensì una commendatizia presso il Console Sardo; gliela diedi subito- Mi separai con rammarico da questi recenti ma cordiali amici- Alepson ci accompagna sino a Misa- Tappa breve, e strada discreta- Ci appressiamo ad una piccola catena di monti che fa fronte al Tauro. Al piede di questa sta Misa- Una rovina nella quale stanno ammucchiate 100 famiglie Musulmane, e 30 Armene- Cattivo accordo.- Buona casa- Ci mostrano delle iscrizioni, e dei rottami di antiche sculture- Leggiamo una iscrizione greca in cui scorgiamo le parole Cilicia , et Misia -Una tomba su cui era posta una strana scultura- Eccola come la ricordo………… Portano varie medaglie ad Alepson- La chiesa Armena una piccola spelonca, in cui si entra per due porte alte poco più di un metro- L’aspetto del paese è desolato anzi che no- Pianura incolta- Un fiume scorre alle falde dei monti a poca distanza dal villaggio che è il celebratone Xeon della scrittura; il villaggio, quando città era, o sembra che fosse fortificato perché situato dietro un monticello evidentemente di umana costruzione- I monti sono aridi- A poco di distanza è il famoso Monastero Armeno di Siss.

11 marzo 1852

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11  [ marzo 1852] Giovedì

 

Ho dormito di un sonno profondo, ma non mi sento riposata- Ho dei brividi, e temo un assalto di febbre- Gli ultimi giorni di viaggio, e le cattive notti hanno esaurito le mie forze- Ricevo il Bonjoldur(1) del Pascià, ed un invito indiretto di andarlo a visitare- Faccio un giro in Bagar e vado in serraglio- La corte è vasta, piena di uomini di ogmi colore, di ogni vestire, e di diversi modi, tutti armati, chi seduto sul terreno, chi appoggiato ad una lunga lancia, o ad una gran scimitarra – Da un lato la prigione fuori della quale in un piccolo spazio di terreno chiuso da pali di legno si vedono i prigionieri che passeggiano, o prendono aria. Vari edifizi circondano, o piutosto sono quasi nella corte- Quel di fondo riservato al Pascià è di legno, elevato, e tutto guernito di finestre- Salgo una scala in pietra rovinosa, entro in un vestibulo nel quale sono aggruppati 12 o 15 servi bianchi, neri e gialli. Di qui nella sala di udienza del Pascià- Statura piccola, obbeso come tutti i Turchi di alto rango che hanno passato gli anni della prima gioventù- Fisionomia benigna, ma poco accorta, e senza nobiltà- Ride molto. Parla con enfasi ed entusiasmo del nuovo sistema Javasch, juvasch la Turchia si civilizzerà, diventerà ricca, popolata,coltivata, illuminata, industre etc.etc.- Tutto si farà mediante il Tanzimatt (la Costituzione). Avendo io osservato che il Tanzimatt ne alcunché di simile avrebbe prodotto questi prodigi sino a tanto che non v’erano in Turchia né denaro,né attività, che conveniva rivolgersi agli Europei per ottenere e il danaro e le braccia mancanti il Pachà sembra approvare di tutto cuore questo mio pensiero,e soggiunge che Javasch (Javasch)si otterrebbe anche questo- Così finì il discorso- Intanto si discuteva una questione di regola sanitaria, vale a dire che il Pascià si studiava d’indurre il D.re della Quarantena (D.re Spagnoli) ad eludere la legge lasciando che le truppe provenienti di foria dimorassero fuori dei luoghi destinati per Lazzaretto- Il povero Dottore si dibatteva- Io gli feci osservare che in questi paesi la regola non serviva che ad aguzzare l’ingegno, di chi trovandosi con essa a contatto deve necessariamente o sottoporsi a qualche incomodo, o violarla- Finì col cedere medianti certe restrizioni- Presi congedo dopo di aver bevuto di un sciroppo d’arancio squisito- Il Pascià avendomi offerto i suoi cavalli, ho accettato, e dopo la visita , vennero a prendermi pel passeggio Maria, M.is Parker, Campana e il D.re Orte, mi accompagnavano oltre due Gavas del Serraglio. Cavalli buoni, ma ordinarii- Facciamo esternamente il giro delle mura- Vediamo un villaggio di Mori venuti dall’Affrica durante la dominazione di Ibrahin Pascià, e rimasti dipoi in Adana, ove ci fabbricarono un villaggio alla foggia delle loro città Africane .- Le case, sono ampie ceste di giunchi  trecciate con arte, di forma sferica, coperte da un tetto conico di paglia.- Sono circa cinquanta famiglie, che obbediscono al loro Sultano, ossia ad uno di essi che porta una giubba rossa- Lavorano alla terra, ma poco e male e sono tutti poveri- Si maritano coi bianchi, e già si vedono ragazzi non solo, ma giovani mulatti.- Vediamo il ponte sul Sauro ed è di costruzione Romana.- Fu però tante volte ristaurato dai Turchi che poco, o nulla più appare della sua creazione primitiva- Altre antichità non vi sono- Stasera giunsero Antinori, e Pietro col Console Sardo , un negoziante Svizzero, e il Pa. Gregorio, Alepson mio amico, ma che da molti anni avevo perso di vista.- Era già ritirata quando giunsero, cosicché li vedrò dimattina- Ebbi un lungo discorso coll’ex P.dre Gregorio- Egli ha lasciato il Convento e l’abito monastico- Dice di non essersi fatto protestante, ma cattolico non mi sembra neppure.- Raccoglie medaglie, ed altre antichità che manda in Inghilterra, e quando avrà messo assieme qualche danaro si propone di fondare un Collegio Armeno in cui istruirà i ragazzi senza controversie, né avverzioni religiose- Pensa a stabilirlo a Ciag Mog Oglon, come pure a fondarvi un giornale- Vedremo- Il Console Sardo si è mostrato meco più che gentile- Mi presta 3500 piastre, e mi dà una lettera di credito pel suo banchiere di Bejrut – Ho pranzato con esso , Alepson, spagnoli, e la mia compagnia del D.re Orta, la cui moglie è Greca e piutosto bella.- I suoi bambini poi sono vaghi quanto mai- In questa provincia vi sono anche dei Fellah, che diconsi pagani e non riconoscono altra autorita,’ che quella del loro capo- Fanno mistero della loro religione, che dicesi essere un misto di Cristianesimo, Musulmanismo, e Paganesimo – Aspettano il Maomettanismo- Pare che adorino il sole, la luna, un pezzo di legno e la natura, nel suo simbolo più osceno- Innanzi a questo si pongono ogni mattina, si inchinano, si inginocchiano, e finiscono col baciarlo- Domani Martedì partiremo- Alepson ci accompagnerà sino a Misa.-

Note:

(1) Il Buyuruldu era un ordine, decreto, o avviso scritto di natura ufficiale emesso da un alto funzionario come il Pascià, il Governatore o il Gran Visir, e indirizzato a un subordinato o a un ospite di riguardo. In questo contesto, il Buyuruldu fungeva da comunicazione formale che informava il viaggiatore (e forse le autorità di rango inferiore) della volontà del Pascià. Ricevere un Buyuruldu dal Pascià era un chiaro segno di rispetto e riconoscimento del tuo status e garantiva al viaggiatore di essere trattato con tutti gli onori e la sicurezza necessarie nel territorio sotto la sua giurisdizione.

 

10 marzo 1852

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10  [ marzo 1852] Mercoledì

Siamo andati fuori di strada, e ci troviamo a 4 ore da Adana ed a due da Tarso: vale a dire che siamo sboccati sulla strada da Adana a Tarso- Antinori rincomincia le sue istanze per andare a Tarso- Io gli consiglio di andarvi senza di me. Dice di non volere andar solo, ed io lo autorizzo a farsi accompagnare da Pietro- Così si conchiude-  Piove, ed aspettiamo qualche ora nella speranza che si rassereni- Verso le 11 a.m. la pioggia scema, e ci mettiamo per via, guidati da un Greco, ma presto rincomincia il diluvio con maggior forza, ed io mi decido a fermarmi al primo villaggio, che mi fu detto grosso, e bene provvisto – Il Greco insiste perché io prosegua, ma inutilmente: pieghiamo a diritta, e dopo mezz’ora di cammino giungiamo a un gruppo di case assai più miserabili  di quelle lasciate poco innanzi- Sulle prime nessuno ci apre la propria casa: un uomo però si fa innanzi, e sclama , venite tutti da me , uomini, donne, e bestie- Ci conduce alla sua casa composta di una stanza o granaio, e di una stalla- Piove dirottamente, e mando indietro il Seis, perché aspetti il Katergi al punto, in cui si divide la strada, ed a noi lo conduca- Il Greco riparte, ed a lui pure dò commissione di mandarmi il Katergi- Ma questo non si vede, e quando sono le quattro p.m. abbandono ogni speranza di vederlo. Come fare ? Senza bagagli,senza letti, senza provvisioni in un paese, ove nulla si trova, né pane, né burro, né riso, né farina, né latte, né carne ? Il sole spunta fra le nubi, e ripensiamo ad arrivare ad Adana- Consulta- Campana, e i servi, sono per la partenza- Maria per la permanenza- Mentre titubo, vedo alcuni nuvoloni che sembrano escire dal mare , e pronunzio la parola Sto’- Dopo alcuni momenti incomincia la pioggia, e ci felicitiamo della mia risoluzione- Si tratta di pranzare- Due galline ci danno del brodo in cui inzuppiamo il nostro biscotto di Cesarea- Due ova, e un pezzetto di formaggio con qualche dattile rimasto della sera antecedente formano il nostro pasto- Noi tre femmine e Campana occupiamo per la notte il granaio del nostro ospite, gli altri si dividono chi nella stalla, chi in un tugurio che ci servì di cucina- Non abbiamo lume, tranne una picciola lanterna indigena con olio- Nessuno di noi si spoglia- Io mi corico avvolta nella mia pelliccia, su di un materazzo trovato dall’ospite e che sembra bastantemente pulito- Per capezzale ci ho un mucchio di semi di cotone- Maria ha un’altro materazzo più  umile- M.is Parker si sdraia dentro una coperta di buon aspetto- Campana sul grano, entro un altra coperta- Sebbene assai stanca le punture di insetto mi tengono sveglia- Tento più volte la caccia ma la poca luce della lucernetta non serve- Pure all’ultimo scopro…….che ?Peggio assai di una pulce- è di un candore immacolato- Questo nemico distrutto , godo un poco di quiete, e sul tardi mi addormento- Allo svegliarmi mi annunziano bellissimo tempo. Ci alziamo in fretta, prendiamo un caffé coll’uovo perché non c’é latte, e partiamo- Campana ha dimenticato indietro il suo fazzoletto, va per riprenderlo e ci perde- Siamo dunque senz’altro cavaliere  fuor di Giovanni, Podos (1), e i Seis- Strada orribile- I cavalli sdrucciolano ad ogni passo ed affondano sino al ginocchio- Più ci avviciniamo ad Adana e più troviamo il paese allagato- La pioggia deve essere stata straordinaria- Il viaggio è di tre ore, ma ne impieghiamo più di cinque. Poco prima della città siamo incontrati da Nadj Mustafà, ed alcuni Gavassi(2) del Pascià che stettero la notte scorsa quasi intera sulla strada per cercare di me.- Il Katergi è arrivato ad Adana alle 11 p.m.  Una mula gli è morta per via. Antonini cadde 3 volte nel fiume- Nadj Mustafà si trovò nell’acqua sino al petto del cavallo, e smarrito si mise a piangere. Insomma se partivamo dal villaggio quando spuntò il sole, andavamo a rischio di perire. Ecco Adana- Le case sembrano meglio fabbricate delle viste sin qui.- Son fatte di mattoni cotti nel forno, e posti gli uni sopra gli altri per traverso- Le strade peggio di tutte-Un profondo fosso nel mezzo per cui non si ponno traversare se non spiccando un salto che talvolta dà da  riflettere- Io alloggio in casa di un ricco Armeno chiamato ……………. –  Ha una bella nuora- La casa è pulitissima, non senza qualche eleganza. Vengono subito a vedermi i tre Dottori Orta, Spagnoli, e Rubotti. L’incaricato del Console Inglese, quello del Console Sardo etc.etc.- Io non ne posso più dalla stanchezza- Faccio un giro in Bagar(3) pranzo e vado a letto .-

Note:

(1) Bodoz ? Il servitore che porterà poi in italia?
(2) Kavas erano essenzialmente guardie armate, attendenti o messaggeri di scorta. Erano uomini armati, spesso vestiti con un’uniforme distintiva, il cui compito principale era fornire sicurezza e accompagnamento a diplomatici, consoli, ufficiali di alto rango, e viaggiatori stranieri facoltosi .
(3) probabilmente Bağ (pronunciato “Baa”, a volte trascritto come Bach o Bagh): Giardino, frutteto o vigna. E’ possibile che Cristina abbia fatto un giro nel giardino annesso all’alloggio o nei campi coltivati del villaggio Turcomanno, specialmente per trovare un po’ di ristoro dalla fatica del viaggio.

9 marzo 1852

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9  [ marzo 1852] Martedì

Notte piutosto buona- Partiamo alle 8 – La valle sembra aprirsi, ma presto si ristringe- Caminiamo (sic) nella direzione del N.E. di che mi meraviglio assai . Vedo che siamo discesi al di là di Adana ed ora ci convien rimontare- Dopo tre ore di strada  ci fermiamo ad un Khan; ove è anche la posta dei cavalli – Vicino un castello in rovina, strada fatta da Ibrahin Pascià- Ieri abbiamo trovato palle da cannone, granate etc. da caricare due o tre bastimenti.- Nessuno se ne cura.- Bella situazione del Khan – Rocce immense- Abbiamo traversato un fiume o torrente chiamato (Kirk Yhedgi)(1)  perché si passa, e si ripassa molte volte.- Ripartiti, Antinori riconosce i segni delle inondazioni marche- Larghissime madrepore delle conchiglie perdute-Troviamo i leandri, ma già sfrondati- Si riprende la direzione del mezzogiorno-

Caminiamo (sic) sino a sera ed arriviamo a  Kazuk Bach (2)- Popolazione Turcomanna, e povera. Casa piutosto pulita, ma qualche pulce.

Note:

(1) Kırk Geçit. Kırk significa “quaranta” (spesso usato per significare “molti”). Geçit significa “passaggio” o “guado”. Kırk Geçit significa “Quaranta Guadi” o “Molti Passaggi”. Questo si adatta perfettamente alla descrizione del torrente che “si passa, e si ripassa molte volte”, un toponimo comune per i fiumi che serpeggiano attraverso gole montane.

(2) Kazuk Bach è probabilmente una corruzione di Kazıkbağ o Kazıkbağı. Kazık significa “palo/picchetto”. Bağ (Bach/Bagh) significa “vigna/giardino”. Si tratta di un villaggio agricolo Turcomanno (forse “Vigna Palificata”), situato ora nella regione pedemontana del Tauro, in una zona di transizione tra la montagna e la costa.

8 marzo 1852

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8  [ marzo 1852] Lunedì

 

Partiti alle 8,30 a.m. Piegati a diritta sui monti entriamo in gole strette, e sassose, e caminiamo (sic) sempre verso il sud- Traversiamo una valle più larga dominata da un magnifico castello già fabbricato da Ibrahin Pascià- Molte rovine di castelli e forti si scorgono in vari punti- Il paese dice il nostro Gavas, era altre volte coperto da boschi, ed infetto da ladri . Ibrahin bruciò i boschi, e innalzò castelli e villaggi; ma costretto ad abbandonare la conquistata provincia, bruciò i villaggi, e i castelli, come avea bruciato le foreste- Ora non  v’é più niente- Scendiamo nel letto di un torrente; e ci fermiamo a un Khan situato presso, e di contro ad altri castelli rovinati- Ivi ci raggiungono due Dervichi Arabi che vennero sto autunno a Ciag Mag Oglou.- Ripartiamo con un poco di neve; caminiamo (sic) per mezz’ora nel letto del fiume- Poi entriamo in una gola più delle altre stretta, che ci conduce ad una altezza- Vi è il posto della guardia- Il capo di tutti i Gavas, Zappetiers della provincia abita una capannuccia situata in questa stretta- Egli c’ invita ad entrare nella sua casa, ci da caffé, narghilé, aranci, rosolio etc. etc.- Ripartiamo ma facciamo quasi tutta la strada a piedi, perché sassosa e ripida, tanto per salire quanto per discendere- Quattro ore di viaggio- Passiamo un Khan discreto- Più innanzi è il nostro- Luogo pessimo, senza una sola camera, cosicché mi tocca dormire nella stalla- Durante l’ultima ora di viaggio abbiamo caminato in mezzo alle Dafni, ai lauri, agli ulivi, e i Mirti.-

 

7 marzo 1852

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7 [ marzo 1852] Domenica

Notte discreta- Partiamo alle 8,30 ed entriamo nella parte più larga della valle tenendo sempre a mezzo dì. Presto però invece di continuare nella valle, pieghiamo sulle alture di diritta,ed entriamo in alcune amenissime vallette situate nell’interno di quei monti. Dopo men che due ore un Khan , ove facciamo colazione e riposiamo sino alle 2 p.m.meno un quarto. Ripartiti continuiamo a tenerci sui monti di diritta sino a che scorgiamo al di là di essi, e sempre a mano dritta una vasta e bellissima valle tagliata dal Nalisso ( Kızılırmak (Halys). ndr) , ed in cui serpeggia la strada che viene da Iconia (Konia. ndr)  e Costantinopoli- Scendiamo la estremità di questa catena di monti e sbocchiamo nella valle ad un dipresso a questo modo

Nalisso……… Iconia

 

Tauro

 

Medem

Prima di varcare il fiume incontriamo un zappetier mandatoci dal Direttore delle Dogane che tiene il Khan in cui dobbiamo pernottare- Eccoci sul confine di Soria- Già siamo fuori della Cappadocia, e nella Cilicia- Il Padrone del Khan pare compitissimo e bene educato- Camera buona ma piccola e perciò caldissima- Il Khan, e quattro case attinenti sono situate nel letto del fiume – Ottimo pesce- Antinori vorrebbe passare per Tarso, ed andare per mare, ci dicono però non vi essere battello a vapore, ed io non mi voglio imbarcare su di un bastimento a vela- Decido di andare per Adana-

6 marzo 1852

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6 [ marzo 1852] Sabbato

Ottima notte, senonché Antonini è stato male ed ho dovuto alzarmi. Vaneggiava, e capiva di vaneggiare. Si calma con dell’acqua di Melissa. Giunto il padrone Catergi – Partiamo alle 8,30 ed entriamo in una valle nella catena del Tauro- Si cominciano a vedere alcuni cespugli- Il vento s’innalza gagliardo e freddo. Dopo due ore ci fermiamo ad un misero Khan a far colazione. Il Dragomanno è ubriaco- Alle 12 si parte; dopo un’ora un’altro Khan tenuto da un greco che ci conta le miserie del paese sotto  Ibrahin -scià- Sembra che prima della guerra il paese era pieno di villaggi. (1) Altre due ore, e si giunge alla tappa.- La valle si è aperta, è coperta di alberi, ginepri, e pini- Spunta anche un pò d’erba – Presso al Khan vi sono dei pastori che alloggiano in grotte- Passiamo, e costeggiamo un fiume che si chiama Aciag Musulmani- Antonini sta meglio-

Note:

(1) Ibrahin-scià è Ibrahim Pascià (1789–1848), figlio del viceré d’Egitto Muhammad Ali. Qui si riferisce alla Guerra Egiziano-Ottomana del 1839-1840. L’esercito di Ibrahim Pascià aveva invaso l’Anatolia e dominato la Siria, arrivando fino a minacciare Istanbul, prima di essere respinto dalle potenze europee.

4 marzo 1852

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4 [marzo 1852]Giovedì

 

Mi dicono che la giornata, è di otto ore, ma v’é un villaggio a mezza strada- Io scelgo di ivi fermarmi per amor di Maria ch’é ancor debole, di Antonini, e dei cavalli- Antonini  però sta meglio assai. Partiamo alle nove e mezzo a.m.- Abbiamo passato una pessima notte grazie alle pulci che piovevano dalla soffitta- Si sale il monte Tauro tenendo sempre a mezzo giorno. Il suolo è coperto di altissima neve. I cavalli sdrucciolano, sfondano , faticano immensamente- Il Tachtaravan(1) di Antonini fu messo sopra un mulo; incontriamo una caravana di cameli, che occupano il sentiero battuto; il cavallo di Maria si spaventa e minaccia di gettarsi in un fosso, gli prendo la briglia, e me lo tiro dietro – Scendiamo in una valle, avendo a sinistra l’alto monte di Dio (Allah Dagha) (2) ed a diritta pochi monticelli- Sotto uno di questi trovasi il villaggio di Bagam deren, ove ci fermiamo- Son le due p.m. Il villaggio è piccolo, povero ma pulito- Quando giungiamo il caldo è insoffribile. Due ore più tardi nevica, e fa un vento gelato- Verso le cinque arrivano Antonini e il Katergi- Antonini va bene tranne che una piaga gli si è aperta su di una mano.- Ceniamo e vado a letto, ma appena coricata viene Augusto e mi dice che Antonini fa dire a me ed a Campana che sta per morire. Campana va a vederlo e mi porta nuova che il polso è tranquillo, ma la ragione di bel nuovo turbata.- Suppongo una indigestione, e gli ordino un caffé lungo ed abbondante- Sta meglio, ma continua ad essere fuori di sé, e parla sempre di morte- Mi risolvo ad alzarmi ed a andare al suo karmak – Nell’aprire la porta di casa sono abbagliata dalla luce che manda la luna, e che riflette la neve- Scena magnifica- Quei monti rigati di bianco e di nero si staccano mirabilmente sul ceruleo del cielo- La luna appare tra quelle stratagliate sommità- Antonini è più quieto- Rientro e passo una notte tranquilla- Sento della gente del paese, che durante l’inverno, la neve, loro impedisce sovente di visitarsi l’un l’altro – Molti che tentano  varcare il   monte soccombono- La terra non si lavora che quattro o cinque mesi all’anno- Nell’estate l’Allah Dagda e compagni si spogliano della neve, e si rivestono di praterie alte quattro palmi- I Turcomanni vengono ad abitarvi colle loro mandrie – Il paese é bellissimo, abbondantissimo in acque, ma poco sicuro. Al di là di questi monti è il Koronhama(3) paese abitato da una tribù indipendente, ossia ladra- In questi stessi monti abita l’Ury Gallo(4) , e si trovano molte miniere di piombo che si lavorano a Medem(5)- Partiamo alle otto a.m. Il 5 Venerdì- La strada discende sempre costeggiando l’Allah  Dagda- I monti di destra si abbassano a segno da lasciarci scorgere l’intiera catena del Tauro che ci chiude da ogni parte- Dobbiamo escire per una gola, ma l’occhio non iscopre punto che di una gola dia l’indizio- Nel girare però una roccia vediamo un passo meno elevato sulla linea e forse per quello esciremo da questa regione montuosa- Medem non si scorge se non quando si entra nel paese perché chiuso ………

 

1250        — legna e carbone non so affatto quanto venga

366             ma supponiamo 200000 piastre  456250

——-                                                                 200000

1500                                                                ———–

1500                                                                   656250

3750

——–

451200

 

Dunque totale di spese  656250 p. Entrata – massimo 300000 di piombo a  1 piastra  = 300000 piastre- Levandone 8 parà per ogni piastra rimangono 240000 –    Spesa   656250  p.

Entrata 240000 p.

Perdita 416250

Oltre di ciò il Governo paga di trasporto da Medem a Ismitt per ogni 180 oche di piombo, ossia un carico di camelo la somma di 120 piastre- riceve per ogni 100 oche di piombo cavato dal forno un tributo di 20 p. ossia – 60000 piastre per 300000 oche – Paga dell’appaltatore 250 p. 100 uomini dalle 500 alle 100 p. mensili a carico dell’appaltatore- 15 parà le 6  oche di trasporto dal Governo 6000 piastre di carbone per dieci forni – per  5 giorni e 5 notti di lavoro – Nell’eguale spazio di tempo si ricava 1500 oche di piombo da 100 p. ogni oca- Dietro queste nuove informazioni ecco come starebbe la cosa- La miniera appartiene come patrimonio ereditario a Nussein  Effendi  Direttore- Il Governo paga le spese di carbone,e trasporto tanto dello stesso, quanto del-minerai-della miniera al forno-

Il Direttore paga gli uomini che scavano il metallo, e quelli che lo fondono. Una volta fuso Nussein Effendi compra al Governo il piombo della propria sua miniera al prezzo nominale di parà 40, ma al prezzo effettivo di 32, otto parà essendo lasciati al Direttore. Poscia Nussein Effendi rivende il piombo al prezzo di 3 piastre l’oca.- Oppure è il Governo che compera il piombo di Nussein Effendi  al prezzo di parà 40, o trentadue , e lo rivende a Costantinopoli al prezzo corrente di piastre 3. Questa ultima ipotesi spiegherebbe come il governo paghi 120 piastre per ogni carico di camelo,ossia 180 oche di piombo che da Medem si porti a Ismitt.- Ogni anno il Governo avanza a Nussein Effendi la somma supposta necessaria al lavoro della miniera. Se il piombo compensa la spesa va bene;in caso contrario Nussein Effendi rimane debitore del Governo,e il suo debito viene scontato sul profitto dell’anno seguente – Non paga interesse- La contabilità per parte del Governo è tenuta dal Midir- Vediamo le cifre. L’appaltatore tiene dai 100 ai 150 lavoranti,i quali ricevono dalle100 alle 150 piastre al mese- Media 300- 300 per 150 dà 315000 Paga 20 piastre ogni 100 oche di piombo a titolo di tributo,ossia 300000 oche,60000 piastre;di spesa dunque hà 315000 piastre all’anno. Supposto che venda il piombo al Governo al prezzo di 32 parà l’oca,si ritirerebbe 240000 piastre e ne spenderebbe 375000. Il governo paga 15 paràogni 6 oche di carbone;ed ogni 6 oche di minerale. In 5 giorni e 5 notti  si consuma in dieci forni 6000 oche di carbone e si cavano 1050  oche di piombo- Ossia si spendono 300 piastre e si ritirano in piombo pel valore di 810 –

Il piombo è al minerale nella proporzione in circa dell’uno al quattro. Dunque il Governo trasporta dalla montagna ai forni 4200 oche di minerale a 11 parà le 6 oche, ossia spende 10500 piastre da aggiungersi alle 300 = 10800 e ricava come ho detto di sopra 810 piastre- Ora se guadagna questa somma sopra 1050 oche di piombo, supposto che ne ricavi 300000 all’anno, guadagnerebbe 162000, alle quali vanno aggiunte le 60 mila del tributo- Voglio pure che il Governo comperi in seguito dall’amministratore il piombo a ragione di una piastra all’oca, ciò non scemerebbe ancora il suo lucro che di 300000 piastre, le quali sarebbero in seguito assai più che compensate dalla rivendita in Costantinopoli del medesimo piombo a 2 ed a 3 piastre l’oca, anche ammesso che egli paghi 120 piastre per ogni 180 oche di trasporto da Medem ad Ismitt- Dunque queste relazioni sono false.-

Note:

(1) Il Tahtırevan era un tipo di palanchino, lettiga o portantina con sedile o giaciglio coperto (simile a un baldacchino), utilizzato per il trasporto di persone di alto rango, donne o malati. Metodo di Trasporto: A seconda del percorso e della ricchezza del viaggiatore, veniva portato a spalla da quattro o sei uomini, oppure attaccato a due muli (uno davanti e uno dietro) tramite due lunghe stanghe, in modo che il passeggero potesse viaggiare in relativa comodità.

(2) Ala Dağları (Monti Aladağlar)

(3) “tribù indipendente, ossia ladra” era un modo comune per descrivere le tribù Curde o i gruppi di Yörük (Turcomanni nomadi) che, non essendo pienamente sottomessi all’autorità centrale ottomana, spesso si dedicavano a razzie o esigevano pedaggi (chiamati “ladri” dal punto di vista ottomano/europeo). Koronhama è probabilmente una trascrizione di una confederazione tribale locale (es. Karahanlı o simili) o di un villaggio fortificato.

(4) Ury potrebbe essere un riferimento a Yörük (i nomadi turchi), o forse Urum (i cristiani ortodossi greci). La presenza di tribù seminomadi in questi monti (Taurus/Ala Dağları) è un dato di fatto storico.

(5) Ma’den (o Maden). Significato: “Miniera” o “Metallo/Minerale”.  I centri abitati che si sviluppavano attorno alle miniere nell’Impero Ottomano assumevano spesso il nome di Maden. L’autore è corretto: Medem è il nome del centro minerario dove viene lavorato il piombo. Le miniere di piombo (e argento) erano storicamente importantissime in questa regione dei Monti Tauro/Anti-Tauro.

3 marzo 1852

By Diario turco - Seconda parte

3 Marzo [1852] Mercoledì

 

Notte ottima- Antonini stà un po’meglio ma si lagna assai dell’arabà- Gli troviamo un camelo per 20 piastre al giorno,sul quale spero starà meglio- Partiamo alle 9 a.m.- Ci accostiamo ai monti che spaleggiano Kara Nissar,e che si avanzano nel piano in questo modo relativamente alla gran catena del Tauro.

 

____________ TAURO___________

 

AGRO                                                         +

 

SYOLM                                                 KARA NISSAR

 

_______________________________

 

MONTI SENZA NOME

 

Invece di proseguire nella pianura, varchiamo il monte al punto dove ho segnato una croce e sull’opposto pendio troviamo il villaggio di Arably. Facciamo colazione- Lasciamo riposare i cavalli per un par d’ore,e ripartiamo .Il camelo di Antonini non è comodo per salire il monte,ma siccome non v’ha altro modo di trasportarlo,dobbiamo farlo salire sulla mula del suo uomo e giunto alla cima rimetterlo sul suo camelo- Dopo due ore e mezzo di viaggio lungo le ultime ondulazioni dei monti senza nome dall’lato opposto a Kara Nissar, incontriamo le Autorità Turche e il clero Greco di Ennebill venute a farci onore. Cavalli magri e sparuti;gente povera e rozza -Il prete sembra più scimmia che uomo – Corrono il Djerio – Giungiamo al villaggio situato

anch’egli intorno a rocce strane- Alloggio nella casa del Midir(1) ; camera nella stalla;bei tappeti ;bei materazzi ,e bei cuscini;ma un puzzo insoffribile- Pranzo immangiabile-Giunge il Katergy , mi corico.

(1) Il Müdür era un funzionario amministrativo o un governatore distrettuale di rango inferiore, responsabile di una nahiye (sottodistretto) o di una specifica agenzia governativa locale.

2 marzo 1852

By Diario turco - Seconda parte

2 Marzo [1852] Martedì

 

Notte buonissima- Antonini sta male ma è in senno. Appena può sorreggersi.- Gli troviamo un arabà(1) con buoi che lo condurrà al villaggio mediante 50 piastre- Partiamo- Io ho soscritto alla scuola per cento piastre all’anno.- Dopo due ore di camino verso      S.S.O. Saliamo un eminenza e ci troviamo in faccia ad un lago, che si stende in una immensa pianura chiusa al N.O. da una catena di piccioli monti: Al S.E. dal monte Argeo, ed al S.O. dalla catena del Tauro – Il più alto monte di quest’ultima si chiama Allah Daghda-  Pensiamo di fermarci in riva al lago per far colazione, ma sebbene cerchiamo di avvicinarsi pure il terreno si allunga,e si abbassa si lentamente che il nuovo  Seis cammina per più d’un quarto d’ora affine di portarci dell’acqua- Io non la metto alla bocca la prima, ma non la inghiotto.- è acqua salata.- Antinori l’attribuisce alla gran quantità di salnitro, di cui questi monti sono pieni- Per buona sorte troviamo dell’acqua piovana nelle cavità di alcuni sassi e ci dissetiamo con questa.- Rimontati a cavallo caminiamo (sic) ancora lungo questa interminabile valle per circa quattro ore.- Dopo due ore in circa troviamo una sorgente di acqua fresca- In fondo alla pianura la catena di piccioli monti piega verso mezzodì, chiudendo la immensa valle- Addossata a questi monti scorgiamo molti alberi, e a mezza costa il paese di Kara Nissar – Questi monti senza nome sono stranissimi- A distanza presentano aspetti ingannevoli- Questo sembra cinto di mura, questo attaccato al vicino mediante un ponte sospeso; quest’altro sembra tagliato alla cima; veduti d’appresso presentano tinte straordinarie di piombino pavonazzo, giallo, marrone, arancio, rosso.Al disopra del paese v’é un castello Arabo in rovina- Probabilmente il nome di Kara Nissar gli venne da quel castello o roccia (Nissar) al quale si aggiunge l’epiteto di Kara in complimento; mentre le rocce vicine non sono punto vere. Buon Kornak pronto; cena discreta ; giunge il Katergy(2) e mi corico.- Maria è stanca. Sul tardi giunge Antonini nell’arabà, e chiede da mangiare.- Mi dicono, non ha sofferto.- Dio sia benedetto-

Note:

(1) l’arabà è un carro rustico e lento che era il mezzo di trasporto più comune e accessibile per le vie di campagna e di montagna in Turchia.
(2) Katırcı (Mulattiere), l’addetto che porta i materassi.

1 marzo 1852

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1 Marzo [1852] Lunedì

 

Notte buona- Antonini peggiora- Mi fa chiamare. Lo trovo in uno stato deplorabile quantunque il polso sia buono, e la mente tranquilla- Chiede di tornare a Cesarea- Lo persuado ad avvicinarsi con noi al mare per indi far ritorno alla famiglia. Si arrende, e partiamo- Due o tre ore di viaggio- Incontriamo un Zapetier venuto ad incontrarmi- Dopo qualche tempo vediamo venire una cavalcata composta dei primari abitanti del villaggio e di Nadj Poos . Tirano fucilate e pistolettate , corrono il Djeir(1) in nostro onore, e così sino alla città o villaggio.

Nel fondo di una valle composta di due bacini fra di loro uniti mediante uno stretto quasi nella forma di un 8. All’entrare del secondo bacino le mura, e le porte della città la difenderebbero contro un possente nemico- Entrati nel secondo bacino ossia nella città ci troviamo come nel fondo di una arena i cui gradini sono formati ed occupati da case ben fabbricate ed in pietra. Tutto il paese è in festa a riceverci- Arriviamo nella casa di Giovanaki ove troviamo buon alloggio, e buona colazione.-

 

 

 

Più tardi andremo a vedere la città- Gridano: Viva l’Italia- Sono quasi tutti Greci, ed il maggior numero degli uomini è a Costantinopoli a fare   il baccale- Vengono a prendermi per andare a vedere la scuola dei poveri- Scuola costruita, e mantenuta a spese del paese.  All’entrare nel cortile trovo questo coperto di tappeti, e fanciulli in processione vestiti in gala, e cantando un inno fatto ad intenzione mia- Viva la Principessa Belgioioso: Viva Cristina, Viva l’Italia, Viva la Repubblica, Viva la libertà, mescolate con parole e preghiere greche- Entro nella scuola- Bella, grande, e pulita sala ad uso Europeo- Mi fanno salire su un pulpito in cattedra, e gli stessi ragazzi si mettono in fila e riprendono i loro canti- Mi presentano poi un complimento scritto in bel carattere così composto

Ah! ….

Vous arrivez Majesté Princesse!

Belgioioso

Aujourd’ hui Majesté Belgioioso

La desiderable presence . Toi dans la nos patrie, remplis le nos Cours et a grande joie nous criez à la Majesté là

Vive l’Italia–

I ragazzi scrivono bene, ed imparano oltre il Turco, il Francese, ed il Greco, l’aritmetica, e la geografia- Sono più di duecento, 7 ragazze e 140 maschi- Un prete dell’isola di Candia li istruisce solo. Con 6000 piastre che gli danno i cittadini egli si mantiene, e fornisce la scuola di carta, libri e l’occorrente- Il governo Greco di Atene gli mandò per 250  libri – Quel buon prete sembra sfinito per la fatica .- Escita dalla scuola camino in processione e in mezzo ai canti verso il villaggio di case di pietra, e alle quali i Turchi non ardivano di prenetrare. L’incendio non li minaccia come gli abitanti delle città fabbricate di legno, ed è perciò che sino a questi giorni ai Cristiani dell’Asia non fu mai concesso fabbricare né case di pietra, né chiese con volta etc.Non vi è guarnigione.  Non vi è commercio locale, e in generale gli abitanti sono poveri, ma intelligenti, e tranquilli perché rispettati-Primo luogo interessante che incontrai sin qui nel mio lungo viaggio- Vorrebbero trattenermi, ma io insisto per la partenza – Antinori non viaggiò con noi. Partì per tempo cacciando ed è arrivato or ora (a sera) con sette anitre, e una folaga. Provvigioni pel viaggio. Antonini sta male, ma è tranquillo- Siccome il polso si è fatto duro, e risentito, gli ho fatto cacciar sangue- Il sangue si coagulava nell’escire, ed ha molta schiuma rossa-

Note:

(1) Djeir è la trascrizione di una delle usanze culturali più note della Turchia : Cirit (pronunciato Djeerit). Il Cirit è l’antico e tradizionale gioco turco del giavellotto a cavallo (o della lancia). Questo gioco era ed è tuttora una dimostrazione di eccellenza nell’equitazione e un rituale di ospitalità e onore. Gli uomini a cavallo eseguivano cariche veloci, tirando in aria (o a terra, o tra di loro) i giavellotti, spesso accompagnati da spari cerimoniali di moschetti e pistole.

Spiegazione e video: https://eskapas.com/the-game-of-jereed

28 febbraio 1852

By Diario turco - Seconda parte

28 Febb. [1852] Domenica

Maria sta meglio- Antonini sebbene pazzo non ista male- Partiamo.- Si è speso a Cesarea circa 4000 piastre- ci accompagnano un pezzo di strada Ali Gavas e il dottore Nadj-Looj va innanzi a Engelm- Noi anderemo a pernottare ad un Tchifflik 3 e mezzo distante per risparmiare le forze di Maria, e Antonini. La strada ci riconduce ad Arnnar, ove ci fermiamo a bere un pò di latte.- Si passa due volte il fiume che deve essere il Melay, e che forma la palude, ossia lago di Cesarea- Passato il secondo ponte lasciamo la strada seguita nel venire, e proseguiamo verso N.E. Dopo mezz’ora scendiamo una collina tutta rocce, e queste rocce sono connesse le une alle altre, con sassi ammucchiati, fra i quali sono le case di un villaggio- Se non fosse il fumo che esce da queste, non ci sogneressimo di essere presso ad un villaggio- Trovo però una camera bene addobbata ed assai pulita- Maria va bene Antonini male-

La sua faccia va diventando una sola crosta salsedinosa.-

21-27 febbraio 1852

By Diario turco - Seconda parte

21-22-etc.sino al 27.- [febbraio 1852]

Maria è ammalata- Antonini è impazzito. Con tuttociò ci lusinghiamo di partire domani- Ho preso un uomo per sorvegliare Antonini sino a Tarso ove lo inbarcherà per Genova- I Banchieri di questa Città ; Karandi,si sono mostrati cordialissimi, e mi hanno avanzato 7000 piastre. Ma la metà di queste sarà spesa prima di partire da qui- Il Console fu sempre gentilissimo ma mi chiese danaro ch’io non potei dargli.-Siamo giunti negli ultimi giorni del carnevale degli Armeni- Le donne riccamente vestite stanno tutto il dì sulle terrazze delle loro case ridendo e ciarlando, mentre alcune vanno da una casa all’altra che tutte comunicano insieme pei tetti, suonando un tamburino e cantando per far ballare le altre- Spettacolo originale è quella popolazione riccamente vestita e affollata sui tetti. Quando ecco il Kaimakan, il Console mi mandano dietro i loro Gavas e Zappetiers- Siamo stati  a cavallo a vedere le tombe Persiane o Turcomanne. Somigliano a quelle di Kir Chehir, ma sono in maggior numero- Vi sono iscrizioni in caratteri  non Turchi. Ignoro però se siano Persiani o Turcomanni. Oggi pero’, questi ultimi non hanno né lingua, né caratteri propri, e parlano un dialetto Turco- Non ho potuto copiare le iscrizioni, perché poste troppo in alto. Giù per la campagna, e su pei monti si vedono dei gran mucchi di terra, che furono scavati, e nei quali si rinvennero per lo più delle tosabe-

Si fa molto commercio a Cesarea, e fra gli altri il commercio del Djaer , detto gellosa-beans dagli inglesi- Vi è un distaccamento di cavalleria di 150 uomini; oltre di ciò il corpo dei Gavas, e Zapetiers che  ascender possono a qualche altro centinaio- Una chiesa nuova greca, bella di forma ma disonorata da certe pitture. Una chiesa Armena (dei schismatici) Kae e Moschee molte.- Ho preso Nadj Mustafà Gavas per accompagnarmi durante l’intero viaggio. In questo modo non mi occorreranno più tutti quei Zapetiers , che sono un verme alla borsa- Qui si spende spropositatamente, e per poco che dimoriamo, avremo spesi tutti i denari ricevuti pel viaggio.

20 febbraio 1852

By Diario turco - Seconda parte

20 [febbraio 1852]   Venerdi

Notte cattiva- Bel tempo- Il Dragomanno,ed uno dei Zappetier sono andati innanzi dal Console. Noi partiamo alle 10 . e ci dirizziamo verso un villaggio che ci venne indicato come trovandosi a due ore distante da Suk Son – Caminiamo (sic) per quattro ore. Scesi dal monte,varcato il Nalisso su di un ponte, entrati in un gran piano paludoso,giunti alfine ad Ambar che giace sepolto in mezzo all’acque. Tutti scendono da cavallo perché la strada formata da grosse pietre ineguali è appena praticabile ; ma io che conosco Kur, non discendo,e me la passo a meraviglia- Sta colle gambe nel fango,rimpetto ad un fosso; lo salta felicemente,e si ritrova sulla terra ferma.- Ad Ambar facciamo colazione,beviamo del buon latte,e diamo del fieno ai cavalli – Giunge il Gavay e l’ordinanza del Console, portandomi una lettera in cui il sud.to si scusa di non venirmi a trovare perché ammalato,e dice di mandare questa sua gente perché mi conducano all’alloggio,che mi ha preso. Partiamo- Kur vede alcuno dei nostri che è andato innanzi, scappa onde raggiungerli- Tutti mi credono perduta. Quando Kur si ferma sono quasi soffocata per la violenza con cui fendo l’aria.- Tosto vediamo una numerosa truppa di cavalli e cavalieri venirci all’incontro- La gente del Console m’informa essere queste persone mandate dal Kaimakan per farmi onore- Sono condotte da un medico greco chiamato Cosgognomi genero del D.r Petracchi d’Angora- Hanno anche un cavallo nudo che il Kaimakan manda per me. Sono contenta di cangiar Kur che è inquieto per la presenza di tanti cavalli; ma il cavallo del Kaimakan non è avvezzo ad essere montato da una donna e fa ogni sforzo per tirarmi giù,quando però vede di non riuscirvi si rassegna e camina un poco più regolatamente.- Dopo un’ora di viaggio giungiamo a Cesarea- La città si presenta benissimo al fondo d’una vasta pianura appoggiata ai monti dell’Antitauro estendesi la gran città che si rispecchia nelle paludi,che la circondano le quali formano come un lago – Entrati nella città svanisce l’incanto- Le case somigliano quelle dei villaggi Turcomanni ,e sono quasi tutte in rovina – Le strade fangose e rotte,si che i cavalli vi affondano sino oltre la mezza gamba- La popolazione è tutta fuori nelle strade,alle finestre,sui tetti per osservarmi- Sembrano più tosto benevoli che insolenti- Giungiamo alla casa- Bella,ma fredda- Viene il Console- Gentilissimo,e ci manda libri-

 

19 febbraio 1852

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19 [febbraio 1852]  Giovedì

 

Notte discreta.Alla mattina neve e vento; più tardi cessa la neve, e s’acqueta il vento. Partiamo- Dopo due ore e mezzo di strada in mezzo a monti sassosi, arriviamo al fiume Nalisso che passiamo sopra a un antico ponte di pietra ad un arco solo- Sembra opera Europea. Pochi passi dopo il ponte troviamo un vecchio Khan abbandonato, nel quale ci fermiamo a far colazione.- Ivi troviamo un viaggiatore di Cesarea presso cui i Zappetiers s’informano della strada e dei suoi pericoli- Temono dei ladri che si nascondono, dicono in questo stesso Khan , ma il viaggiatore li conforta.- Altre due ore di viaggio e giungiamo al Konak Suk Son- Povero sito, ma casa di pietra, e materazzi puliti- Non si trova orzo pei cavalli- Gli abitanti ci ricevono a stento- Il paese non è più così monotono- Caminiamo (sic) fra monti di formazione vulcanica, in mezzo ad un oceano di sassi, e rocce, che sembrano sollevati da una forza sotteranea- La scena cangia ad ogni istante per le molte qualità dei monti, che variano ad ogni passo, di aspetto- Si vedono anche a comparire alcune pianterelle; che gli abitanti circondano di sassi affine di preservarle dagli animali- Uno dei Zappetier mi fece osservare una fortificazione in rovina che domina il ponte sul Nalisso, e mi disse essere stata costruita da un Paschà di Cesarea per guardare quel passo.

18 febbraio 1852

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18 [febbraio 1852] Mercoldì

Notte discreta- Congediamo la guida- Paese di ladri- Ci rubano Cural, ma i Zappettiers lo ritrovano- Dispute coi padroni di casa. Partiamo verso le dieci; a 12 fermata ad Acgialur (1)- Buona casa- Le donne portano un beretto, come una torre ornati di monete e penne di struzzo- Due ore di riposo e rimontiamo in sella. Tre ore di viaggio e si giunge al Konak Teccké (2)- Povera casa, e stanze senza porte- Abbiamo di rimpetto i monti del’Anti  Tauro tutti coperti di neve- In queste interminabili pianure soffia un vento gelato, e il suolo, è cosparso di neve- Il cavallino di Maria è caduto ma pare non si sia fatto gran che-

Note:

(1) Forse Aladağlar.

(2) Un Tekke era un convento o monastero sufi/derviscio. Questi luoghi erano rinomati per la loro ospitalità (zâviye) e offrivano rifugio ai viaggiatori lungo le rotte carovaniere, spesso in luoghi isolati. Il fatto che sia un “Konak-Tekke” indica una struttura che univa la funzione amministrativa (Konak) a quella religiosa/caritatevole (Tekke).

17 febbraio 1852

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17  [febbraio 1852]  Martedì

 

Notte con pulci- C’indicano una strada più breve e migliore per Asacen. 5 ore oggi, 5 domani, 8 dopo dimani. Ma ci vuole una guida, e prendiamo uno del paese a venti piastre il giorno. Midilli un poco anch’esso, tutti sono stanchi e si affaticano vanamente. Ciò nullameno partiamo- Dopo due ore comincia la  salita della gran vetta . Vento freddo, fango, strada pessima- Giunti in cima i cavalli brancolano. Io insisto per fare una fermata e lasciarli fiatare- Opposizione, ma io persisto- Ci fermiamo sul pendio del monte presso una fonte.- Mangiamo un boccone, ma Tai  si corica, si rotola, sembra spirante- Comincia a piovere- Ci mettiamo per via- I cavalli sembrano rinati, e  Kur prende il suo rabatean(1) che non lascia più- Durante quattr’ore , caminiamo (sic) sul fango sotto alla pioggia, al vento, alla grandine- Si è cavato sangue dalla bocca a Tai, e sembra un pò sollevato- Finalmente scuopriamo la Città- Il sito è ameno, ma la città è un gran villaggio Turcomanno e niente più. Caminiamo (sic) nel fango fino alle ginocchia dei cavalli- Giriamo per circa un’ora nella città, poi entriamo in una spaziosa corte  ed in una bella casa ma senza vetri alle finestre. Cena parca,e quando giungono i Catergy coi materazzi ci corichiamo-Mi sento spossatissima , ma domani ci tratteremo, e spero riacquistare le forze- Anche i cavalli hanno sommo bisogno di riposo-

Angora – Kırşehir 200 km

Da Angora a Kir Cheher otto giorni di strada, ed eccetto alcuni alberi fruttiferi che vedemmo nei giardini, non abbiamo scorto un solo albero spontaneamente cresciuto- Si direbbe che Iddio dimenticasse questo così cospicuo ornamento della natura. Andiamo a vedere fabbricare i tappeti  a  Melba. Le donne fanno i primi con rozzissimi telai, e con industria somma- Partiamo alle 10. Si camina(sic) e si camina senza mai trovare né un villaggio, né una sorgente ove far colazione- C’informiamo da un pastore, che ci manda ad una pozza ove ci fermiamo- Colazione fatta si riparte- Altre cinque ore di strada, in tutto 8 ore- Si giunge al Komme- Casa  di pietra pulita- Cena buona-

 

 

 

Note:

(1) Il termine “rabatean” è quasi certamente una trascrizione molto corrotta del termine turco (di origine persiana) rahvan. Il rahvan è un tipo di andatura del cavallo (simile all’ambio o al passo da corsa) molto specifica. È un’andatura addestrata, estremamente fluida e comoda per il cavaliere, perché non produce i sobbalzi tipici del trotto.

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