[30 Settembre 1850]
Il trenta Settembre alle cinque del mattino, prima d’assai che albeggiasse, Eugenio gridava , alzatevi! ecco il vostro caffè e latte sotto il naso, cosicché o prenderlo, o rovesciarlo sulle coltri. La scelta non era dubbia. Così stropicciandomi gli occhi da una mano afferrai coll’altra la tazza e riassaggiai dopo quasi tre mesi di privazione quello squisito latte di Asia, che m’avea lasciato sì dolci rimembranze.
Poi m’alzai, feci le solite abluzioni, che non trascuro,né abbrevio mai, e vestitami in fretta dietro un cespuglio perché gli uomini potessero entrare liberamente dentro la tenda pigliar la roba, e caricarla, ritornai nel nostro accampamento ove arrabbiai, e brontolai per circa un’ora sul proposito della somma lentezza e, gli Inglesi direbbero akwardness con cui questi Orientali fanno qualunque mestiere.
Per noi c’è ogni mattina da rotolare quattro tappeti due materazzi e mezzo un cuscino, quattro o cinque coperte, e altrettanti mantelli; da riporre i piatti e i bicchieri , e le posate con cui si cenò la sera e si pigliò il caffè quella mattina, da piegare e porre in un sacco la tenda, poi da caricare tutto ciò sopra due cavalli, da sellare e imbrigliare parimenti i nostri cavalli, e da mettersi in via. Orbene tutto ciò non può farsi in meno di due ore.
Non c’é che dire, tempestate, strapazzate, bestemmiate pure se così usate, non vantaggerete di mezzo minuto. Dunque due ore dopo che io avevo lasciato la tenda per andarmi a vestire, montammo in sella, passammo Tarja, altra città Greca, lasciammo [ vuoto ] sulla nostra destra alla riva del mare, e proseguimmo al trotto,galoppo e traino per circa quattro ore, quando ci fermammo sotto una rovere a far colazione.
Che appetito Signore Iddio! Io che da due mesi stavami allambiccandomi il cervello per trovar cosa che mi andasse giù, come si dice da noi , mi divorai un pezzo di pudding riscaldato che avrebbe fatto le delizie di un conduttore di mail-post Inglese. Fumavo poscia il mio narghilé quando la tremenda voce di Eugenio si fece sentire; Partite ! andiamo ! Alzatevi! e così ci alzammo da sedere ,in sella di nuovo e via.
Fù però per poco, ché un’ora poi dovettimo fermarci di bel nuovo per cambiare i cavalli. Stettimo presso il cimitero fuori appena della Città per evitare gli insulti, che quella popolazione delle più fanatiche della Natolia, avrebbe potuto infliggere a Giovanni. Finita quella noiosa operazione, che ci trattenne più d’un’ora, ripartimmo un’altra volta ma dopo due ore di cammino incominciammo gli uni, e gli altri a risentire della stanchezza .
Quando s’arriva dicevamo a perfetta vicenda ed all’unisono. C’è un pezzo, rispondeva l’Eugenio. Ma a me duole una gamba – a mé duole un piede, a me dolgon le reni – a me un’altro sito – il mio cavallo tosse , ed hà il mancamento di respiro il mio si è scorticato sotto la sella; il mio zoppica- il mio non vuol più andare- Uno dei cavalli del bagaglio cadde per due volte , insomma la disperazione stava per mettersi nelle nostre file ,quando io feci una felice diversione , intavolando una gran lite con Eugenio- Perché ci fate far giornate così lunghe sul principio? Ho detto stamane che volevo andare a pernottare a [ vuoto ] .
Voi non avete detto che fosse troppo, e adesso lo dite; dovevate dirlo allora . No Sig.ra non l’ho detto allora perché con Voi è inutile il parlare . Ma allora…. = Poche cose volete dire : ma allora perché mi parlate adesso? Vi parlo adesso, perché la stanchezza, e la rabbia mi fanno parlare sebbene conosca di parlare inutilmente etc. etc. E così rianimati un poco dal calore della controversia giungemmo infine su di un monte , al piede del quale sembrava che una piccola Città entrasse, e si facesse innanzi in mare. Ma era inganno della vista, poiché giunti alla piccola Città trovammo che era ancora lontana ,e soprastante al mare più di cento metri.
Da capo la cerimonia dello scaricare , spacchettare, attendare ,cucinare etc. etc., e da capo il dolce sonno che tien dietro alla stanchezza del dì.