29 Settembre [1851]
Partiti da Stamboul[1] il 29 Settembre a mezzodì. Andati in cocchio sino a Kadikoi[2] al di là di Scutari[3]: Ivi trovato Eugenio coi cavalli di posta.
Il mio cavallo e quello di Maria erano con noi. Lo sbarco della nostra roba,e il carico della stessa sui cavalli, l’insellarli,il brigliarli che ci tenne più d’un’ora. Finalmente quando Dio volle voltammo la testa dei nostri cavalli verso Levante e fecimo il primo passo alla volta del Deserto.
Io mi sentiva una letizia in cuore come non la provai da anni. Prevedevo molte seccature che mi aspettano, ma non era pensiero che bastasse a temperare la mia gioia. Nasca quel che sa nascere, dicevo fra me, sarò in Asia.
La nostra comitiva si componeva di noi tre ossia mia figlia, io, e la governante Miss Parker, del Sig. Eugenio, di Campana emigrato di Parma, già da più mesi ricettato in mia casa, e che ora conduco meco nel mio deserto, in qualità di farmacista, e di Cucaj nostro Seis, che vuol dire custode dei cavalli o uomo di stalla.
Giungemmo felicemente dopo cinque ore di viaggio in vista di Curtat, antica città Greca (di cui non ricordo ora il nome) oggi ridotta come è costume universale in in Turchia in un misero villaggio. Spiegammo le nostre tende e stendemmo sulla nuda terra i nostri tappeti, materazzi, cuscini e coperte, operazione che riuscì lunga,e tediosa assai,perché né Campana, né Cucaj non erano avvezzi a queste faccende. Era già notte quando mi allungai sul mio materazzo.
Intanto Eugenio accendeva il fuoco,e preparava la cena, che consisteva in alquanto di carne portata con noi di casa,che si andava arrostendo in bragiuole. Ma pensando Eugenio che a me tal cena non avesse da piacere, se ne andò al paese, e vi ordinò tre pesci, che furono portati alla nostra tenda mezz’ora dopo che io m’era andata a letto. Ero anzi addormentata ,vinta come mi trovava dalla stanchezza: ma Eugenio non ha rispetto al sonno ed a chi ne gode. Eccolo entrare in tenda col suo piatto di pesce in mano gridando con quanta voce aveva in corpo, Principessa alzatevi! prendete! ecco la vostra cena! Sono pesci buoni!
Sono ….e qui mi schicchera un nome Turco che non intesi mai. E siccome dormire con simil voce nell’orecchio è cosa impossibile anche dopo una giornata di cavalcatura, così mi rassegnai a sospendere il mio sonno per un poco di tempo, ed a gustare i miei pesci, ch’erano invero buoni. Poi ripigliai il mio sonno, e fui lasciata in pace. Maria già dormiva da un pezzo. Miss Parker sospirava , gemeva, mangiava, beveva, e poi dormì ancor essa. Campana imitò l’esempio nostro, ed Eugenio rimase solo in piedi a farci la guardia. Egli non dorme, non mangia non beve, se non quando gli è di comodo.
(30 Settembre 1850)
Il trenta Settembre alle cinque del mattino, prima d’assai che albeggiasse, Eugenio gridava , alzatevi! ecco il vostro caffè e latte sotto il naso, cosicché o prenderlo, o rovesciarlo sulle coltri. La scelta non era dubbia. Così stropicciandomi gli occhi da una mano afferrai coll’altra la tazza e riassaggiai dopo quasi tre mesi di privazione quello squisito latte di Asia, che m’avea lasciato sì dolci rimembranze.
Poi m’alzai, feci le solite abluzioni, che non trascuro,né abbrevio mai, e vestitami in fretta dietro un cespuglio perché gli uomini potessero entrare liberamente dentro la tenda pigliar la roba, e caricarla, ritornai nel nostro accampamento ove arrabbiai, e brontolai per circa un’ora sul proposito della somma lentezza e, gli Inglesi direbbero akwardness con cui questi Orientali fanno qualunque mestiere.
Per noi c’è ogni mattina da rotolare quattro tappeti due materazzi e mezzo un cuscino, quattro o cinque coperte, e altrettanti mantelli; da riporre i piatti e i bicchieri , e le posate con cui si cenò la sera e si pigliò il caffè quella mattina, da piegare e porre in un sacco la tenda, poi da caricare tutto ciò sopra due cavalli, da sellare e imbrigliare parimenti i nostri cavalli, e da mettersi in via. Orbene tutto ciò non può farsi in meno di due ore.
Non c’é che dire, tempestate, strapazzate, bestemmiate pure se così usate, non vantaggerete di mezzo minuto. Dunque due ore dopo che io avevo lasciato la tenda per andarmi a vestire, montammo in sella, passammo Tarja, altra città Greca, lasciammo [ vuoto ] sulla nostra destra alla riva del mare, e proseguimmo al trotto,galoppo e traino per circa quattro ore, quando ci fermammo sotto una rovere a far colazione.
Che appetito Signore Iddio! Io che da due mesi stavami allambiccandomi il cervello per trovar cosa che mi andasse giù, come si dice da noi , mi divorai un pezzo di pudding riscaldato che avrebbe fatto le delizie di un conduttore di mail-post Inglese. Fumavo poscia il mio narghilé quando la tremenda voce di Eugenio si fece sentire; Partite ! andiamo ! Alzatevi! e così ci alzammo da sedere ,in sella di nuovo e via.
Fù però per poco, ché un’ora poi dovettimo fermarci di bel nuovo per cambiare i cavalli. Stettimo presso il cimitero fuori appena della Città per evitare gli insulti, che quella popolazione delle più fanatiche della Natolia, avrebbe potuto infliggere a Giovanni. Finita quella noiosa operazione, che ci trattenne più d’un’ora, ripartimmo un’altra volta ma dopo due ore di cammino incominciammo gli uni, e gli altri a risentire della stanchezza .
Quando s’arriva dicevamo a perfetta vicenda ed all’unisono. C’è un pezzo, rispondeva l’Eugenio. Ma a me duole una gamba – a mé duole un piede, a me dolgon le reni – a me un’altro sito – il mio cavallo tosse , ed hà il mancamento di respiro il mio si è scorticato sotto la sella; il mio zoppica- il mio non vuol più andare- Uno dei cavalli del bagaglio cadde per due volte , insomma la disperazione stava per mettersi nelle nostre file ,quando io feci una felice diversione , intavolando una gran lite con Eugenio- Perché ci fate far giornate così lunghe sul principio? Ho detto stamane che volevo andare a pernottare a [ vuoto ] .
Voi non avete detto che fosse troppo, e adesso lo dite; dovevate dirlo allora . No Sig.ra non l’ho detto allora perché con Voi è inutile il parlare . Ma allora…. = Poche cose volete dire : ma allora perché mi parlate adesso? Vi parlo adesso, perché la stanchezza, e la rabbia mi fanno parlare sebbene conosca di parlare inutilmente etc. etc. E così rianimati un poco dal calore della controversia giungemmo infine su di un monte , al piede del quale sembrava che una piccola Città entrasse, e si facesse innanzi in mare. Ma era inganno della vista, poiché giunti alla piccola Città trovammo che era ancora lontana ,e soprastante al mare più di cento metri.
Da capo la cerimonia dello scaricare , spacchettare, attendare ,cucinare etc. etc., e da capo il dolce sonno che tien dietro alla stanchezza del dì.
…
Note:
[1] Nome utilizzato a Costantinopoli nel XIX secolo per indicare la parte di città storica compresa tra il Corno d’Oro e il mar di Marmara, per differenziarla dagli altri quartieri, egualmente citati dalla Principessa.
[2] Quartiere di Costantinopoli ancora esistente oggi, dalla parte asiatica della città.
[3] L’odierno quartiere di Costantinopoli di Üsküdar, anche questo dalla parte asiatica. Il 4 novembre 1854 Florence Nightingale vi arrivò e nelle baracche di Selimiye mantenne l’ospedale per le migliaia di soldati feriti nelle battaglie di Crimea. Essendo Cristina partita da Costantinopoli per tornare in Europa a fine luglio 1855, le due donne avrebbero potuto incontrarsi.