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Lettere di un’esule – 3

By 24 Agosto 1850Marzo 3rd, 2024esule, I suoi articoli

Storia della reazione in Toscana – L’oppressione delle province Lombardo-Venete da parte dell’Austria

Corrispondenza del Tribune

Costantinopoli, sabato 24 agosto

Cosa posso dire della Toscana? La Toscana somiglia a una bellissima bambola di cera che è stata galvanizzata e messa in movimento da alcuni spiriti scelti, che hanno cercato di farne un essere sensibile e pensante, e pensavano di esserci riusciti. Sembrava per un po’ che la gente di Firenze, Pisa, Livorno e delle città minori pensasse, sentisse e agisse come esseri viventi; che desiderassero unirsi come un unico popolo per stabilire una nazione potente e liberarsi dall’oppressione straniera. Il loro amato Granduca Leopoldo era guardato con freddezza a causa delle sue propensioni austriache – l’uniforme bianca, la sciarpa nera e gialla lo dicevano chiaramente – tanto che fu costretto ad abbandonare tutto e a definirsi un principe italiano – italiano nel cuore, nel sangue, in tutto.

Ma tutta l’energia fittizia che è stata inoculata nelle vene toscane da un piccolo gruppo di patrioti si esaurì durante questi conflitti con il loro sovrano. La gente era stupita di sé stessa e della propria virilità e avrebbe presto annullato tutto ciò che era stato fatto da loro e da altri, se avessero avuto il potere di farlo. Ma il manipolo di patrioti aveva preso in mano il gioco e aveva proseguito con i loro progetti, senza badare ai sentimenti leali che tornavano nei cuori dei toscani. Il Granduca, che leggeva chiaramente il corso del sentimento popolare, pensò che fosse il momento giusto per colpire duro e risvegliare nei loro cuori il più doloroso rimorso; così se ne andò, dichiarando il più chiaramente possibile che era stato cacciato dal suo regno e dal suo amato popolo da una banda di ribelli, che avevano gettato polvere negli occhi dei suoi sudditi e sugli occhi del suo stesso io, aspettando solo un momento propizio per sbarazzarsi di lui con qualche mezzo subdolo. Poi continuò, parlando del suo cuore spezzato, dei suoi desideri per il benessere ingrato del suo paese, e commosse fino alle lacrime la popolazione del suo ducato.

Quando se ne andò, la Toscana si sentì confusa, ma a metà viva e sveglia. Emissari segreti furono inviati al Granduca pregandolo di tornare e offrendosi di sottoporsi a qualsiasi punizione egli avrebbe loro imposto come condizione per il suo ritorno. Il Granduca si impietosì, ma dichiarò che non sarebbe tornato a meno che non fosse accompagnato dalle truppe austriache. A questo i toscani aderirono, e il vergognoso patto fu firmato. Si verificò un movimento popolare nella capitale, con il pretesto di cacciare il governo impudente che aveva compromesso l’indipendenza toscana, sfidando con minacce vane e ridicole l’ira della potente Austria. “Se Montanello e Guerrazzo continuano a promuovere misure democratiche così avventate, saremo perduti, e l’Austria si impadronirà di noi”. Così dicevano i leader reazionari toscani; e per evitare che l’Austria si impadronisse di loro, si gettarono tra le braccia dell’Austria –

Guerrazzo fu arrestato, e il suo carcere salvò la sua vita. Poi il Duca tornò, sotto la guida e la protezione del generale austriaco D’Ayore, uno dei più crudeli nemici dell’Italia. Livorno cercò di resistere, fu bombardata e si arrese.

Deve essere detto, per amor di verità, che la Toscana fu l’unica provincia italiana in cui ebbe luogo la reazione orrenda con il consenso e attraverso i mezzi dei suoi abitanti. A Napoli, a Roma, nelle province Lombardo-Venete, truppe straniere di mercenari schiacciarono e malmenarono il popolo, che protestò fino all’ultimo, e ancora protesta contro questa oppressione. Attualmente la Toscana è una provincia austriaca. La tanto decantata gentilezza del temperamento del Granduca ha ricevuto una dura condanna; infatti, numerose esecuzioni capitali hanno avuto luogo dalla sua ripresa del potere reale, e su individui che avevano personalmente offeso il Granduca. La Costituzione non è stata formalmente annullata, come a Napoli e a Roma, ma è stata lasciata in stato di latenza e dimenticanza. Ogni città e fortezza è occupata da una guarnigione austriaca, e la gente, sebbene non così entusiasticamente legata al loro sovrano come prima, sembra tranquilla e soddisfatta. Pace alle loro ceneri. Le province Lombardo-Venete furono date all’Austria, come tutti sanno, nell’anno 1814, dai sovrani riuniti a Vienna dopo la caduta di Napoleone. La storia di quella compassione e del governo di queste province da parte dell’Austria nei trent’anni successivi sarà citata nei secoli a venire come una prova irrefutabile della barbarie assoluta del XIX secolo. Alcuni dettagli di questo periodo terribile possono essere letti in un opuscolo pubblicato diversi anni fa a Parigi, intitolato “Trent’anni di governo austriaco in Italia”, o un saggio sulle cause di quella mancanza di energia che ora appare nel carattere lombardo.[1]

Per ora voglio solo dire che è sempre esistita una inimicizia mortale tra italiani e austriaci; la sottomissione dei primi ai secondi fu il risultato di un’oscura intrigo – di una frode astuta lavorata su l’Italia dal suo nemico più inveterato.

Un’unione così mostruosa, la vendita di una nazione libera a un padrone violento e tirannico, fu resa ancora peggiore, ancor più insopportabile e iniqua dal modo in cui detto padrone fece uso della sua autorità. Il Nord Italia è il paese più ricco d’Europa; fu spogliato dei suoi beni naturali e dei suoi abitanti; i coltivatori del suo suolo generoso furono dispersi a metà affamati, e camminarono sui loro campi generosi; mentre pesanti dragoni rotolavano davanti a loro lungo la strada per Vienna, carichi d’oro che i conquistatori portavano fuori dal paese. La Lombardia doveva fornire Vienna di oro e alle province manifatturiere dell’Impero di lavoro. Furono fatte due incisioni profonde nelle sue vene, drenando il sangue della vita in un corso rapido. Lei riceveva oro da nazioni straniere in cambio delle produzioni naturali del suo suolo; ma che importava? Se doveva essere inviato a Vienna appena ricevuto? Commercio e industria, quei due sproni dai quali i potenti riforniscono il loro tesoro esaurito, le erano vietati.

Potrei riempire un volume con il racconto delle molte trucchi vergognose praticate dal governo austriaco per impedire i passi che l’Italia cercava di fare verso l’instaurazione di commercio e industria, – come tali sforzi erano apertamente incoraggiati e segretamente rovinati, per garantire il maggior danno possibile ai lombardi. Basti dire che per tanti anni nessuna impresa del genere ebbe successo nel Nord Italia, tutte fallirono a causa dell’interferenza diretta e indiretta del governo. La popolazione aumentava in numero, le tasse aumentavano ogni anno, il reddito nazionale diminuiva, e il risultato era la miseria sotto molte forme e l’odio degli oppressi contro gli oppressori.

L’italiano è furbo, intelligente e veloce di comprensione, appassionatamente amante delle arti, per la cui comprensione è particolarmente dotato. Libri, studio, libertà di pensiero, tutte le vie della scienza gli erano vietati. I professori delle celebri università di Pavia e Padova vennero da Vienna e non conoscevano nemmeno la lingua italiana. Le domande da rispondere agli studenti, pronti a laurearsi, venivano inviate da Vienna, e molte di esse, quando lette al pubblico nelle aule dell’Università, venivano accolte con grida e risa fragorose. Chi poteva evitarlo? Per quanto riguarda le domande sulla geografia, si chiedeva “Quanti ebrei nascono ogni giorno nella capitale dell’Impero!” Gli austriaci non sono la gente più sciocca sulla terra, ma possiedono di gran lunga il miglior piano per rendere evidente la loro stupidità.

Ma basta così. Non era permesso importare libri dall’estero. L’infelice libraio che aveva ricevuto un incarico per un’opera famosa, a volte riceveva solo gli ultimi due volumi e nient’altro. A volte il Censore si degnava di benedirlo con i volumi confiscati, che era disposto a fare solo dopo aver strappato le pagine sgradite. Non venivano stampati libri come uscivano dalla mente dell’autore, poiché non c’erano limiti all’interferenza letale del Censore. Uno di loro che aveva l’abitudine di tagliare e cambiare non solo ciò che trovava pericoloso o eretico, non solo ciò che riteneva difettoso dal punto di vista letterario, ma ciò che non gli piaceva senza sapere bene il motivo, esprimeva questo principio trinità di censura nel seguente modo. Sbarrando le parti proibite, scriveva sul lato bianco delle pagine opposte, “questo lo sbarrò come censore”; poi “questo lo sbarrò come uomo di lettere”; e terzo, “questo lo sbarrò come M. Rovida” (credo che Rovida fosse il suo nome). E le tre frasi furono eseguite. Nessuna produzione teatrale, nessuna lezione pubblica al di fuori di quelle istituite dal governo, nessuna casa poteva essere costruita se il piano dell’architetto non era stato preventivamente approvato da un commissario del governo; nessun quadro, nessuna statua poteva essere esposta se non approvata da un altro commissario; in una parola, il popolo italiano, cresciuto fino all’età adulta, veniva messo in fasce e costretto a sentire la sottomissione dell’infanzia.

Tutte le cariche pubbliche e gli impieghi erano privilegio degli austriaci, e i giovani italiani non trovavano occupazione, remunerazione, nessun percorso per la fama aperto, nulla da fare, tentare o acquisire. L’odio aumentava ogni giorno tra italiani e austriaci, e questo veniva punito con prigionia, esilio, multe, e talvolta con la morte; non una morte improvvisa e violenta, ma una morte prolungata e aggravata, gradualmente indotta dalle pareti umide di una prigione e dal pesante carico di catene di ferro.

Questa era la condizione delle province Lombardo-Venete quando l’impulso improvviso fu dato attraverso tutta la penisola dal partito costituzionale; quando principe e popolo sembravano unirsi nella comune lega per ripristinare l’indipendenza nazionale. Il nemico comune era l’Austria; la vittima da soccorrere era la Lombardia, e le sue pianure dovevano essere il campo di un conflitto sanguinoso e finale.

 

1- Fa riferimento al libro “Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent’anni e delle cagioni del difetto d’energia dei lombardi” del 1847. LIbro attribuito a lei, erroneamente. ( Vedi pagina https://www.cristinabelgiojoso.it/wp/la-biblioteca/i-suoi-libri/

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