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Lettere di un’esule

By 1 Agosto 1853Marzo 19th, 2024esule, I suoi articoli

Lettere di un’esule. XXXVIII

Ciaq Maq Oglou,

Asia Minore, Agosto 1853

(Ci sono  molte parti di lettera illeggibili. Riporto quello che ho sono riuscito a leggere. Se qualcuno ha una copia dell’originale più leggibile, me lo faccia sapere! ndr)

Abbiamo affidato le nostre cure a un arabo, di Algeri(?) che vantava i suoi successi nella lingua francese e le abitudini franche, la prima consistente in tre parole: Madame, Mademoiselle e Monsieur e la seconda nella consapevolezza che la prima di queste parole fosse rivolta a tutte le donne, la seconda ai giovani signori e l’ultima ai vecchi. Si vantava anche della sua perfetta libertà da tutti i pregiudizi religiosi o nazionali, che dimostrava essendo perpetuamente ubriaco. Ad ogni modo, si era completamente sbarazzato della gravità orientale, e così audace, così impudente, così intollerabile era diventato, che fui costretto a licenziarlo. Era il primo musulmano impertinente che avessi mai visto: ma era un arabo. Tuttavia, era invidioso vedere come la vanità francese, innestata sull’arabo, avesse preso il sopravvento su di lui. “Sono un francese”, diceva ad ogni momento; “i francesi sono un grande popolo, e io ne faccio parte.” E rideva e si pavoneggiava, e si buttava sul divano, e alzava i piedi in aria, e lanciava le sue babucce dall’altra parte della stanza, e insomma era una persona molto comica per circa un quarto d’ora.

Non posso tralasciare i curiosi monumenti osservati in questa parte molto remota e raramente visitata dell’Asia Minore. Kur Cheir merita di essere conosciuta per i suoi notevoli edifici sepolcrali. Non so perché così tante persone distinte abbiano scelto di essere sepolte in questo angolo del mondo: ma il fatto è che ancora oggi si possono vedere sei o sette tombe colossali, contenenti i resti di Naschid Pasha, di Sheik Suleiman, di Sheik Ewran, di Georgy Bey e di diversi altri. Non sono riuscito a raccogliere molte informazioni sui defunti illustri, perché illustri lo erano certamente, altrimenti non avrebbero mai ottenuto così magnifici sepolcri. Tutto ciò che ho potuto raccogliere è che Naschid Pasha era il figlio di un santo di nome Abbas; e che Sheik Ewran era considerato l’inventore di tutte le arti ora coltivate dagli uomini. È ancora il patrono dei calzolai, sarti, falegnami, muratori, fabbri e altri artigiani. Se la tradizione è vera, i musulmani sono stati molto tardi nell’acquisire i confort della vita, dato che queste tombe non possono essere molto antiche. Appartengono evidentemente all’architettura turcomanna, e sono costruite su una scala gigantesca: ogni tomba comprende un cortile e un salone destinato apparentemente a una moschea, con diverse stanze originariamente destinate ai Dervisci o Santoni, consacrate al servizio e alla custodia del luogo sacro. Alcune di queste stanze sono ancora coperte con una sorta di smalto che ricorda l’antica faenza, che prendeva il nome dalla città italiana di Faenza, dove fu fabbricata per la prima volta, questa porcellana conserva ancora i suoi bei colori, specialmente il blu oltremare e il giallo dorato. Iscrizioni in una lingua sconosciuta, che si pensa sia la vecchia lingua turcomanna, sono ancora visibili in diversi luoghi. Un minareto che elegantemente si alza in aria, tutto coperto di smalto blu, si erge vicino a una delle tombe, e valorizza notevolmente la piacevolezza dell’intera scena. Dall’alto del minareto, il paesaggio circostante appare desolato e desolato. La città, con i suoi giardini e frutteti, si estende immediatamente intorno ad essa; ma a distanza si vede solo la vasta e deserta pianura, e i monti elevati che sorgono all’estremità sembrano far parte dei cieli blu. Qui e là, ma non a grande distanza dalla città, ho scoperto alcune colline rotonde su cui erano ancora visibili delle rovine. Il mio cicerone mi assicurò che erano altre tombe, e aggiunse che ce n’erano molte altre più avanti nella pianura deserta. Mi chiedo ancora, perché Kar Cheir fu scelta tra tutte le altre come luogo di sepoltura per così tanti? Perché le ombre dei morti sono più numerose e incomparabilmente meglio costruite di quelle dei vivi! Questi sono problemi che solo la storia potrebbe risolvere; ma il cronista di Kur Cheir non è ancora nato, che io sappia, né sembrerà per un po’ di tempo, temo. Contenti ma stanchi di visitare le tombe, voltammo le briglie dei nostri cavalli verso sud e ci affrettammo verso il nostro korak. Era un grande villaggio a cinque ore di distanza dalla città, e vicino alle prime cascate che dovevamo attraversare. E qui permettetemi di rivolgere una timida riprovazione agli scienziati della geografia che descrivono tutta la Cappadocia come una vasta pianura. Avevamo già viaggiato diversi giorni attraverso alture e montagne innevate, di cui non trovavo..

(Grossa parte illeggibile ndr)

La vita di una donna dura durante la creazione di un tappeto, mentre i tappeti durano per molte generazioni. Se avesse il tempo di finire due, forse tre, tappeti invece di uno, che tipo di miglioramento sarebbe?
Cosa potrebbero fare con così tanti tappeti! Dovrebbero costruire case appositamente per proteggerli, perché venderli non è da prendere in considerazione. Così continuano senza cambiare, facendo tappeti altrettanto belli quanto quelli celebrati dai Lungraviani.
Conoscono anche il loro valore: infatti, dopo aver chiesto al mio ospite quanto valesse un tappeto come quello nella mia stanza, ci pensò un po’ e poi disse cinquecento piastre, che è una somma enorme per queste persone povere. Ha aggiunto, però, che raramente vendono o comprano qualcosa, o meglio, mai del tutto, tranne che per qualche incidente, come un incendio o una rapina, che priverebbe un signore di tutti i suoi beni, tappeti inclusi, quando sarebbe costretto a fornire nuovamente la sua casa.
È in questo villaggio che ho visto il primo caso di vera violenza fanatica contro i cristiani. La mattina successiva, mentre percorrevamo le strade, una enorme pietra fu lanciata contro il nostro piccolo dragomanno, e cadde, fortunatamente per lui, davanti ai piedi del suo cavallo. Il povero omino si fermò sul suo cavallo, diventò pallido come un morto e balbettò una spiegazione incomprensibile ai nostri Zavasses. Ma avevano visto la caduta del proiettile e, girando bruscamente i cavalli verso la parte del villaggio che avevamo appena lasciato, si precipitarono per le intricate strade, le spade nude brandite in aria, urlando, maledicendo e giurando che il colpevole, se scoperto, avrebbe pentito la sua impudenza; ma non fu scoperto e dopo un po’ si unirono ai nostri campioni, che erano ancora ansimanti per l’emozione e lo sforzo, e vennero a chiedere un baksheesh – e lo diedimo.
Il nostro viaggio da Kur Cheir a Kaisarea durò cinque giorni, durante i quali dovemmo fare i conti solo con i Turkomani. Il terzo giorno, scoprii un nuovo miglioramento nella mia sistemazione. Fino ad allora avevo deplorato la mancanza di finestre; ora la porta sparì anche: con questa differenza, però, che le finestre erano assenti perché non aperte e le porte perché non chiuse. Tra la strada e il mio angolo di riposo, non c’era alcuna barriera tranne una tenda che riuscii a appendere. Per quanto riguarda l’onestà dei Turkomani, diventava ogni giorno più evidente. In uno dei konak i villaggi ci rubarono uno dei nostri cani da guardia; in un altro un piumone; e all’ultimo prima di Kaisarea due levrieri che ci avevano seguito dal mio Tchifflik, e avevano cacciato per noi lungo la strada lepri e altri animali.
Nel mio elenco degli animali arabi temo di aver dimenticato di nominare il levriero, anche se merita una menzione particolare. Sono quasi grandi quanto il levriero italiano e circa il doppio delle dimensioni del leprotto francese. Le loro orecchie pendono come quelle dei cocker spaniel, con peli lunghi, gloriosi e ricci. Anche la coda e la parte posteriore delle loro zampe anteriori sono coperte in modo simile. Alcuni sono neri, con macchie marroni e gialle intorno agli occhi, al naso e lungo le gambe; altri sono macchiati di nero e bianco, bianco e arancione; altri sono bianchi e altri grigi. Sono molto apprezzati per la loro velocità e il loro talento naturale per la caccia alla lepre, al cervo e alla gazzella. La madre insegna ai suoi piccoli, corre davanti a loro, li fa cacciare e se uno di loro abbandona il gioco torna da lui, lo sgrida e lo castiga addirittura. In Europa, dove ci sono pochissimi esemplari dei levrieri

(xxx), vengono chiamati levrieri xxx, che è un’appellazione del tutto sbagliata, poiché sono molto rari in Siria, dove vengono portati dalle province turcomanne, e sono molto apprezzati come unico cane che può catturare la gazzella. Ne avevo una coppia con me durante il mio viaggio, che, essendo molto affezionati a mia figlia e a me, non furono persuasi a rimanere al Thifflik mentre viaggiavamo tra colline e valli, deserti e città popolate. Durante il viaggio ci procurarono più di una cena, e speravamo che nessuno li rubasse, a causa della loro velocità, che poteva sfidare il inseguimento dei cavalli e dei (mesu).

Tuttavia, nell’ultimo Konak prima di Kaisarea, l’abilità dei Turkomani ebbe la meglio sui miei levrieri, sulla fedeltà e sulle buone gambe, e la mattina successiva, a qualche distanza dal villaggio, scoprimmo che i nostri cani erano scomparsi. Il Zavas tornò indietro, ma apparteneva a un altro distretto e aveva poco potere con gli abitanti del villaggio: quindi si accontentarono di fare appello ad Allah per testimoniare la loro innocenza, e il Zavas fu costretto a accontentarsi della protesta. Non eravamo soddisfatti, però, e arrivati a Kaisarea, mandammo al villaggio due Zavass del Pascià che minacciarono di appiccare il fuoco al posto se i cani non fossero stati tirati fuori, e loro uscirono immediatamente. I Zavass li riportarono trionfalmente, ottennero un buon baksheesh, e – basta con i miei levrieri per il momento.

Kaisarea è bellissimamente situata in una pianura verdissima, irrigata da diversi piccoli fiumi che rendono il paese delizioso alla vista, ma fatale per la vita umana. Per quattro ore abbiamo cavalcato su una strada antica, attribuita, come tutte le opere romane del paese, all’Imperatrice Elena. Ai lati di questa stretta e rocciosa autostrada, estese paludi minacciavano di inghiottirci, cavalli e cavalieri, se sbagliavamo un passo.

Miriate di anatre selvatiche e altri uccelli acquatici spiccavano il volo sotto i nostri piedi, i loro stormi ci offuscavano per un istante dal sole. Di fronte a noi si ergevano i monti Tauro e alla loro base, sul lato del fiume Halyrsus, c’erano i bianchi edifici della città di Carar(?). Lì avremmo trovato un Console inglese, il primo europeo che avevamo visto (eccetto quelli del nostro gruppo) da molti mesi. Il solo pensiero mi faceva battere il sangue più velocemente, e quando a circa due o tre ore di distanza da Kaisarea un uomo si unì a noi, il portatore di una lettera inglese, vestito con pantaloni stretti, un giubbotto verde e una berretto da soldato. Non potei fare a meno di stringergli la mano subito, prima ancora di sapere chi fosse. Anche dalle autorità turche fui accolto con grande cerimonia, ma il saluto quasi mi costò la vita. Ricordi il mio bellissimo, eccellente, obbediente, intelligente, quasi perfetto Arabo grigio: ricordi anche il suo unico difetto – non sopportare la vista di un cavallo in avanti. Beh, il Pascià aveva inviato ad incontrarmi una dozzina o quindici signori della sua casa e un cavallo sciolto per farmi montare entrando in città. L’intero corteo era stazionato a qualche distanza dal villaggio, sulla strada per Kaisarea. Arrivato sulla strada, il mio grigio scoprì il gruppo in anticipo e prima che avessi tempo di indovinare il suo scopo, via di corsa a una velocità così tremenda che il fiato mi mancò e stavo per svenire, finché, raggiunto il gruppo, si fermò improvvisamente. Ma l’eccitazione della corsa durò più a lungo della corsa stessa, e temetti di essere portata via di nuovo, quindi accettai l’offerta cortese del Pascià e montai il suo cavallo. In Europa, e suppongo sia lo stesso in America, non è facile persuadere un cavallo a sopportare ciò che viene chiamata una sella inglese (una sella laterale, come quelle usate dalle donne), né la lunga tunica che pende da un lato e talvolta si impiglia nelle sue zampe: ma in Asia, nessun cavallo rifiuta mai la strana guida. Sembrano piuttosto sorpresi all’inizio, ma non per niente irritati: cammineranno leggermente di lato, ma non mai rabbiosamente né si impennano. Così feci il mio ingresso a Kaisarea sul cavallo del Pascià, seguito da un’orda di Zavasses, segretari, effendi e beys, tra la folla degli abitanti che si affrettavano a vedere lo straordinario spettacolo di una signora franca che viaggiava attraverso l’Asia Minore. Il Console aveva preparato per me alloggi, e erano alloggi molto belli; e più che belli mi sembravano, abituata com’ero alle dimore dei Turkomani. Il mio ospite era un armeno(?) benedetto con innumerevoli figli, molti dei quali erano già sposati e padri a loro volta, componendo una famiglia come quella di Giacobbe stesso avrebbe potuto avere.

 

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