Cristina Belgiojoso e Locate di Triulzi
Pur essendo nata a Milano nel palazzo Trivulzio in piazza Sant Alessandro e poi passata la giovinezza tra lì ed il palazzo della madre ad Affori, Cristina ha sempre considerato Locate come la sua vera casa.
Lì aveva il palazzo ancora visibile, anche se ora diviso in appartamenti. A metà ottocento era maestoso ed importante, con un grande giardino ed una strada di ingresso con le statue; un po’ come si vede ancora in qualche foto di inizio secolo. ( http://www.comune.locateditriulzi.mi.it/ )
Il suo interesse al palazzo si accentua al suo ritorno dall’esilio parigino.
Cristina varca il confine del Regno Lombardo Veneto a Ponte Tresa, il 4 settembre 1840. Ad aspettarla c’è la sua amica Ernesta Bisi, che non vedeva ormai da molti anni. A parte qualche viaggetto a Varese o Genova, vi rimane fino al 6 giugno 1842. Successivamente inizia a fare spola con Parigi, ma tenendo sempre in mente i suoi compaesani di Locate.
Nel 1840 arriva a Locate con un mistero. Mistero che, come dice al suo amico Mignet, non può rivelare via lettera. Sicuramente la sua partenza da Parigi per il lungo viaggio che la porterà a Locate, con lunga tappa a Ems in Germania, “a fare le acque” è alquanto improvvisa. Aveva già lasciato il suo salotto in Rue D’Anjou, dopo la nascita illegittima della figlia Maria, ed aveva trascorso parecchi mesi in Inghilterra, in compagnia dei suoi fratelli e sorelle. Ormai, il nuovo imperatore d’Austria aveva dato l’amnistia a tutti gli esuli del Lombardo Veneto, per cui non era più costretta a stare a Parigi ma poteva finalmente tornare a casa, dopo dieci anni di esilio.
Quando arriva a Locate, e trova una situazione disastrosa. Si rinchiude nel palazzo tra i suoi libri e sua figlia. A farle compagnia c’è il locale parroco Giosuè Brambilla, con cui ogni tanto passa il tempo a giocare a tarocchi.
Dal libro “La principessa Belgiojoso” di Raffaello Barbiera, del 1902.
“La sua villa ha vaste sale i cui usci, ai giorni della principessa, non si chiudevano mai. Il nudo pavimento era, un dì, coperto di modeste stuoje di paglia; ma alcuni gabinetti avean le pareti coperte di seta; qualche altro presentava panoplie d’armi antiche: e, altrove, libri preziosi, miniati da mani diventate polvere da molti secoli. La sala terrena serviva per ricevere i lavoratori dei campi, per le rappresentazioni teatrali, per esecuzioni di concerti, per feste da ballo.”
Nella sala terrena, la principessa, ne’ primi anni del suo matrimonio, siedeva su una antica poltrona a mo’ di trono; e i contadini, fedeli alle tradizioni patriarcali e feudali, le passavano davanti, baciandole reverenti la mano. Era allora la razza Trivulzio che trapelava da quella dama; ma in quel tempo, l’orgoglio era peccato di pochi.
Un’altra sala superiore ( la biblioteca ) è ancora ricca di libri. Vi abbonda la collezione Tauchnitz dei romanzi inglesi, della quale la Belgiojoso era ghiotta.
La stanza da letto della principessa vasta; vasto il talamo, coperto da cortine. Un inginocchiatojo accanto al letto accoglieva ogni sera la principessa che pregava. E, attigua, un’altra stanza ravvolta in misteriosa penombra: la luca vi penetra appena da un finestrone di vetri colorati e istoriati, come nelle cattedrali gotiche. Là, la Belgiojoso meditava, scriveva, e distribuiva innumerevoli beneficenze.”
Il 18 novembre del 1840, dopo un mese dall’arrivo, Cristina si chiude in casa, quasi spaventata dalla povertà che la circonda :
“..E qual altra vita si può condurre in questo nostro paese? Vivere con se’, coi libri e col sole. E con Dio; ma non coi nostri simili i quali c’impoveriscono mostrandoci spietatamente la loro povertà. Quando mi tocca a stare un giorno in mezzo a’ miei concittadini rimango stordita tutto l’indomani.”
E’ il 12 marzo del 1841. In una lettera a Niccolò Tommaseo Cristina racconta :
“I bambini di questo mio paese sono nella più miseranda fra le condizioni umane. La così detta mano d’opera è così ricercata che non solo gli uomini e le donne ma anche i ragazzi e le ragazze un pò grandi stanno fuori tutto il giorno a lavorare nei campi, e i poveri bambini rimangono abbandonati nelle deserte case. La qualità dei lavori e l’aria delle paludi nella state procacciano gravi malattie, e poche sono le coppie che pervengono ad età avanzate; onde accade che i ragazzi quasi tutti hanno sia la matrigna sia il padrino ( scusate se non è parola italiana) e alle volte hanno l’uno e l’altro, giacché i vedovi sposano le vedove, poi il primo di questi che se ne va lascia il campo aperto ad un nuovo matrimonio, e si trovano famiglie in cui s’hanno ragazzi di tre o quattro letti.”
poi continua :
“I contadini di questo paese sono quasi tutti giornalieri, altro non guadagnano che lavorando alla giornata, non posseggono e non godono neppure di quel possesso passeggero che si ottiene dagli affitti. Dessi sono nomadi; quando hanno malcontenti tutti quelli che possono farli lavorare, vanno in un altro luogo ove non siano conosciuti. E così non v’ha popolo più immorale di questo, e chi ne soffre sono i bambini. Quando la prima volta da me, sembravano piuttosto da mandare all’ospedale che a scuola. Pochi parlavano, pochi stavano in piedi, pochi non avevano febbre o piaghe; tutti urlavano, s’imbrattavano, e l’immagine di Dio era in verità molto ascosa. Avvezzi alle percosse, al non mai rispondere, al mangiar porcherie, al rubarsi l’un l’altro, facevano pietà e anche un pò ribrezzo”
Visto tutto questo, ai primi dicembre del 1840 la Principessa s’era tirata su le maniche ed aveva iniziato la serie delle sue opere benefattrici. Il 14 dicembre infatti, apre il primo asilo.
Le lettera appena citata, continua così :
“Ora tutti questi bambini hanno un bell’aspetto di salute, e non s’insudiciano, mangiano regolarmente ciò che loro dò, passeggiano alle ore stabilite, rispondono quando chiamati e stanno seduti sulle panche loro tutto quel tempo che vien loro comandato.
Molti fra essi incominciano a leggere, a numerare ed a conoscere il catechismo.
Questo catechismo non mi soddisfa pienamente, ma non mi attento a toccarlo per timore di incorrere la censura.
Il solo castigo impiegato consiste a far uscire il colpevole e a farlo rimanere qualche momento in una camera separata dagli altri, ma rischiarata, grande e non avendo punto lo aspetto di prigione: questo castigo è per loro così terribile che ne ho visti piangere durante tre o quattro giorni al solo rammentar quella sventura…
Uno dei ragazzi che ancora non parlava, gridava dalla mattina alla sera: poco a poco s’acquetò e diventò così amorevole e così buono che fa meraviglia a vedersi. Appena chiamato si alza, giunge le sue manine in atto di orazione e sta pronto all’obbedienza.
Uno degli amici suoi che era ammalato quando apersi la scuola, fu poi accettato dopo di essere guarito, e arrivando così nuovo fra i già domati disturbava tutti.
Lo misi sotto la direzione del piccolo convertito, ed ammirai come questo custodiva quello; non si allontanavano mai, baciandolo e accarezzandolo, suggerendogli che cosa non dovesse fare e dire, appoggiandogli la testa sul suo petto quando il sonno si faceva sentire.
I parenti sono storditi vedendo questi bambini chiedere insistentemente d’essere condotti a scuola.
Ve ne furono alcuni ammalati che i parenti non poterono custodire in casa, perché i bambini non cessavano dal gridare se non erano condotti a scuola.
Ecco che cosa ho ottenuto sin’ora; non è molto, ma è più ch’io non ardivo sperare.
Parliamo loro di Dio, e non credo che intendono, ma quel nome opera anche se non inteso e l’abito di pronunciarlo è un indirizzo al conoscerlo.”
Il suo lavoro nei mesi prosegue, ed organizza nuovi corsi per i bambini.
Nella lettera da Varese il 22 giugno 1841 riferisce al suo amico Tommaseo :
“Qualche nozione sulle qualità dei corpi e sulle leggi della natura: un pò di meccanica, di agricoltura ecc. Nei nostri paesi parte di queste cognizioni gioverebbe ai lavori così complicati della campagna, e parte servirebbero a procurare ai contadini una industria per guadagnarsi il vitto durante l’inverno. Se Dio mi dà vita amerei di mostrare come si possa ridurre uno dei paesi più miserabili e una delle popolazioni più corrotte che vi siano”
Dopo l’asilo infantile seguiranno una scuola elementare per ragazzi e ragazze, una scuola professionale femminile e una scuola di tecnica agraria maschile, dei laboratori artigianali per pittori, rilegatori, restauratori.
A quel punto si rese conto che la qualità della vita doveva migliorare a prescindere dal grado di istruzione che poteva dare ai ragazzi, e qualcosa doveva essere fatto subito, senza aspettare le nuove generazioni.
Costruirà allora un scaldatoio, ovvero uno stanzone riscaldato in cui ci potevano stare fino a 300 persone.
Dopo lo scaldatoio, costruì una cucina economica, con la quale produrre piatti di minestra calda da distribuire ai più poveri.
Non le distribuiva gratis, ma le faceva pagare un prezzo basso. Questo per insegnarli a non approfittare ma a guadagnarsi il pane, anche se a prezzi ribassatissimi.
Poi distribuisce medicine agli ammalati, vestiti alle ragazze più povere, doti alle spose. Si riparano case e si pensa anche al verde pubblico con un giardino con viali, prati, statuette. Oggi è rimasta la “Via del Giardino” e alcune statue sono nell’erba in giro per Locate.
Il 4 febbraio 1842 aggiorna il suo amico Tommaseo :
“Voi mi chiedete quali siano le mie incombenze come deputato politico. Eccole : badare che le osterie siano chiuse durante le cerimonie della chiesa e dopo le nove di sera. Badare che i parenti mandino i figli alla scuola. Fare arrestare i ladri e gli attaccabrighe. Aver cura delle strade etc. I regolamenti son buoni ma quella benedetta indolenza dei nostri fa sì che non son mai eseguiti. Io mi son fitta in capo di adempiere rigorosamente il dovere che mi son lasciata imporre; e il parroco mi annunziava pochi giorni fa che dacché io ho assunto questo incarico, la sua chiesa è piena, il paese è quieto, e quest’anno non vi sono ancora state né aggressioni né risse. Intanto le mie tre scuole prosperano ed io vado formando nuovi progetti per l’anno venturo onde, se Dio mi dà vita, poter ridurre questa spelonca in una società cristiana.”
E’ interessante smitizzare qui il famoso Manzoni, che criticava Cristina sulle scuole da lei create, dicendo :
“Quando saranno tutti dotti, a chi toccherà coltivare la terra?”
(Da “Colloqui col Manzoni”, di Giuseppe Borri)
Preoccupazione seria, ma non molto edificante da parte di un tale personaggio!
C’è da dire che anche Cristina non aveva una buona opinione del Manzoni, visto che non l’aveva lasciata andare a visitare sua madre Giulia Beccaria, morente. Anche quando Cristina dovette aiutare la moglie di uno dei suoi tanti figli, non ebbe buone parole per il sommo scrittore…
Luigi Severgnini dice nella sua biografia :
“Scemano l’ubriachezza, le liti, le coltellate. Negli anni dal 1840 al 1847 la popolazione di Locate si è trasformata: il bruto si è fatto uomo. Quei villani puzzolenti ascendono alla vita civile, possono partecipare ai nobili sentimenti”.
Da Locate, il 29 maggio 1843 scriverà a Massari, a Parigi :
“Tanti hanno bisogno di me, la mia lontananza è considerata come una tale sciagura che anch’io non posso partire cantando. Questo è il mio luogo, e non Parigi, ove tutto ciò che può succedere di meglio è di non far né bene né male. V’è qualcha Marta a Parigi, ma pochissime Maria. Queste nascono nella quieta e nel silenzio e gli affari, le chiacchere le ammazzano. Chiusa fra i miei libri, da cui non mi allontano se non chiamata dai bisogni altrui, so rientrare in me stessa e piacermi meco, mentre a Parigi sovente mi accade di cercarmi senza trovarmi.”
(Museo del Risorgimento di Roma, Carte Massari)
In poche parole, la principessa preferiva Locate a Parigi.
Riporto qui una lettera di Cristina al suo amico Thierry.
A lui narra, in modo “assolutamente confidenziale” l’accoglienza che la popolazione di Locate le riservò al suo ritorno da un suo viaggio a Parigi, nel novembre 1844. E’ molto utile per capire come la ritenevano i Locatesi.
Il modello di Cristina è il falansterio di Fourier. Nella lettera a Thierry del 1 marzo 1845 dice :
“Io governo il mio impero o il mio falansterio perché Locate ha appunto l’aria di essere uscito dalle mani fourieriste.Il mio castello è grande come una piccola città e quasi tutti gli edifici sono ora occupati da lavoratori. C’è un laboratorio per i pittori, un altro per i rilegatori e quattro scuole differenti di cui una è divenuta una scuola di canto”.
Nel novembre del 1845, scriveva da Locate a Thierry , descrivendo le sue stanze e i suoi pensieri :
“Mon chere Frere,
Voilà mon voyage enfin terminé, et il était temps, car la fatigue de corps et d’âme s’était emparée de moi. Il est bon d’être quelque part, et c’est un bonheur dont le voyage nous dépouille.
Locate va bien avec ses écoles, son chauffoir, ses soupes, ses nouvelles maisons, sa musique,etc.… Tout va bien, mais je sens que mon absence prolongée au-delà du terme ordinaire serait la mort de cette vie nouvelle.
…
J’ai ici un petit cabinet de travail attenant à ma chambre, en bois sculpté et des peintures a fresques sur le murs, dans le vieux style italien, et dont la clef est passée dans la chaine de ma montre, de façon que personne n’y pénètre et que tout le monde ignore lorsque j’y suis, que j’y suis. N’est-ce pas ravissant ?
J’entends des ennuyeux qui me cherchent dans tous les coins, et moi je suis dans une grotte de sorcière, aussi invisible que si Alcine m’avait donné des leçons.
C’est là, dans cette solitude si impénétrable, que je compte aller chercher des force, lorsqu’il m’arrivera d’en manquer. Il me semble que je suis sous le poids d’une grande responsabilité. Ce qui m’entoure, de près ou de loin, a besoin d’étincelles électrique, et je possède, avec un pile, le talent de m’en servir, la volonté et le courage. Si je n’agis pas, si je meurs en laissant ceci comme je l’ai trouvé, personne me persuadera que je n’ai pas de reproches à me faire. ….”
Riporto qui anche un articolo di Ferrante Aporti: “Istituzioni di comune educazione e soccorso fondate in Locate (provincia di Milano) dalla contessa Cristina Trivulzio principessa Belgiojoso”.L’articolo era uscito su “Annali universali di statistica“, Agosto 1846.
Clicca qui per scaricare il pdf dell’articolo di Ferrante Aporti