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Sandro Fortunati

Lettere di un’esule – 20(bis)

By esule, I suoi articoli
Lettere di un esule… n. XX (b)
Un matrimonio turco.
Corrispondenza del N.Y. Tribune
Asia Minore, 15 dicembre 1851
Sono appena tornata da un matrimonio turco e ho trovato la cerimonia abbastanza strana da raccontarvela. Ho notato che i riti della religione maomettana sono poco conosciuti dagli europei, e non credo che gli americani li conoscano meglio di noi. A parte le abluzioni cinque volte al giorno, che costituiscono la parte principale della liturgia di un mussulmano, non sappiamo né ci permettiamo di chiedere come si comportano i ministri della Mezzaluna nel periodo importante della nascita, del matrimonio e della morte dei seguaci. È bene chiedersi se nulla nei loro riti abbia la più lontana analogia con i nostri, se i miti delle antiche religioni asiatiche non siano da rintracciare in essi, o almeno se la parte rituale della religione maomettana sia altrettanto fantastica, capricciosa, infantile, puerile, priva di senso e di moralità quanto la parte morale.
Dal mio arrivo in questo paese ho cercato di raccogliere alcune nozioni sull’argomento, ma ho incontrato molte difficoltà. L’ignoranza di molti, la diffidenza di alcuni e la naturale taciturnità degli altri hanno finora bloccato le conversazioni che cercavo di avviare su questi temi. Ma i miei occhi hanno visto più di quanto le mie orecchie abbiano sentito, e non dispero di ottenere qualche informazione curiosa sulle cerimonie della chiesa mussulmana.
Veniamo subito al matrimonio, che doveva aver luogo tra il figlio di un mio vicino e una giovane donna del paese vicino. Lei, dicevano, era stata molto contraria a sposarsi con un contadino, a lasciare la città e la sua civiltà e a seppellirsi in questa valle solitaria; ma quando aveva saputo che il villaggio dei Franchi[1] era vicino alla proprietà del suo promesso sposo, aveva acconsentito volentieri, il che era molto lusinghiero per noi. Grazie alla mia doppia qualità di vicino e di creditore della famiglia, fui invitata ad assistere alla cerimonia e dichiarai la mia intenzione di rimanere fino all’ultimo momento per vedere tutto ciò che c’era da vedere.

Il padre, la sorella e alcuni amici di entrambi i sessi della famiglia dello sposo erano andati il giorno prima in città a prendere la ragazza (dodici anni) e ad accompagnarla alla sua nuova dimora. Passeggiando tranquillamente nel mio giardino, la mattina di quel giorno movimentato, scoprii lo sposo vestito con gli abiti di tutti i giorni e con un’aria molto triste. Pensai che fosse accaduta qualche disgrazia che avesse interrotto il matrimonio e, chiamando Hassan, gli chiesi cosa lo affliggesse. “Niente”, rispose il ragazzo, aprendo ampiamente la sua grande bocca con un sorriso intenzionale e ammiccando a me con uno sguardo complice; “niente – ma sto per sposarmi, e sai…”. Di nuovo l’ammiccamento e il sorriso, ma non capii nulla. Fortunatamente la madre si unì a noi e, comprendendo la mia domanda, mi informò che era consuetudine, in simili circostanze, che lo sposo si tenesse lontano da tutta la compagnia e, se per caso qualcuno lo incontrava, avesse un’aria il più possibile seria, imbronciata e trasandata. Una sua risata sarebbe considerata la più grande scorrettezza del mondo – davvero scioccante! – e, cosa ancora peggiore, forse porterebbe alle conseguenze più penose, come cadere sotto il potere del malocchio, essere incantato, o cose del genere. Durante la spiegazione, vidi che il ragazzo si sforzava di non scoppiare in una fragorosa risata e, temendo di attirare su di lui ogni sorta di sventura, ( alcune parole illeggibili. ndr) gli chiesi di tornare non appena la sposa avesse fatto la sua apparizione.

Nel tardo pomeriggio, alcune raffiche di moschetto annunciarono l’arrivo previsto. Mi posizionai sullo stretto sentiero che, passando davanti a casa mia, conduce a quella del mio vicino, e in breve tempo vidi il corteo che si avvicinava. Erano tutti a cavallo. Per primo apparve il padre dello sposo nel suo abito più splendido, seguito da due ragazzi straccioni a piedi che fungevano da paggi. Poi gli amici maschi; poi la sorella dello sposo, una giovane donna sposata da poco, di bell’aspetto e piuttosto intelligente; quella cosa che a prima vista non riuscii a nominare, ma che poi indovinai – per la sua posizione nel corteo e per la potente ragione che non poteva essere altro – essere la sposa stessa.

Ciò che si vedeva di lei era un trapunta che avvolgeva con cura una specie di enorme palla, come siamo abituati a vederne tante ammucchiate sul ponte di una nave mercantile. Seguirono le amiche donne, poi la musica e i ballerini del villaggio vicino, alcuni uomini armati di vecchi moschetti e carabine, che rappresentavano la Guardia Nazionale, e infine gli spettatori, uomini e bambini, che correvano, ridevano e gridavano come persone civili.

Anch’io seguii la cavalcata e arrivai alla casa nuziale, giusto in tempo per vedere l’accoglienza della giovane donna. Mentre fermava il suo cavallo (suppongo che il cavallo si sia fermato da solo, ma non importa) le fu consegnato un bambino di due anni. Lei lo prese in braccio, lo fece sedere davanti a sé sulla sella e, tirando fuori dagli anfratti della trapunta una mela, la diede al monello che, avendo completato la sua parte, fu portato via. Toccò ora alla signora con la trapunta smontare, e mi sembrò un’impresa piuttosto notevole; ma ci riuscì abbastanza bene, e arrivò a terra senza aver disturbato molto la simmetria delle pieghe della trapunta. La sua futura suocera, insieme ad altre amiche e parenti, erano in piedi davanti alla porta pronte ad accoglierla, e non appena lei avanzò un ragazzo le mostrò un tappeto. Su questo tappeto si inginocchiò ai piedi della suocera e rimase un attimo in atteggiamento prostrato, come se baciasse la soglia della sua nuova casa e riconoscesse il suo dovere filiale verso la nuova madre. Ero venuta senza alcun sentimento di compunzione, e piuttosto per assistere a una scena ridicola che a una solenne.

Eppure la vista di quella ragazza, di una bambina che entrava in una nuova vita e si prostrava sulla soglia di essa, implorando pietà e affetto, mi commosse, e mi affrettai a entrare in casa, dove arrivai giusto in tempo per vedere la suocera che sollevava la figlia tra le braccia e la baciava con tenerezza.
Poi la giovane sposa fu affidata alle mani della matrona, la porta esterna fu chiusa su di lei e fu portata negli appartamenti interni. Lì seguì una nuova prostrazione e un nuovo abbraccio, ma il mio cuore era indurito contro gli impulsi di fusione e guardai la seconda rappresentazione, chiedendomi perché la prima mi avesse fatto tanta impressione. Mi aspettavo di vedere la ragazza liberata dalle sue ampie pieghe, ma mi sbagliavo. Nonostante la temperatura rovente del giorno, stava avvolta nei suoi molteplici veli – con la testa, il viso, il collo e le spalle completamente coperti – sprofondando sotto il peso degli abiti, delle sciarpe, dei volant e dei gioielli, in un angolo della stanza, singhiozzando e piangendo con tutte le sue forze. Le signore cenavano, le signore cantavano e ballavano, le signore chiacchieravano e facevano molto rumore. Non così la povera ragazza, che stava in silenzio e non faceva altro che piangere. Lei era l’argomento della conversazione; la sua età, la sua famiglia, la sua fortuna, tutto ciò che la riguardava – fino agli stessi baci che aveva ricevuto quel giorno dai suoi fratelli come stimolo al suo coraggio e alla sua forza d’animo – tutto veniva raccontato, discusso e ripetuto più volte; ma lei sembrava a malapena accorgersi di ciò che dicevano e non prendeva alcuna parte all’intrattenimento.
Le ore si susseguivano alle ore; il giorno passava e arrivava la sera, e con la sera iniziavano il sacerdote, o Imaum, e la cerimonia iniziò. Il sacerdote era seduto su un tappeto steso a terra, fuori dalla porta della casa, tra due dei suoi accoliti. Quando fu il momento e tutto fu pronto, il sacerdote cambiò la posizione seduta con quella inginocchiata, invocò la benedizione di Allah e si rimise nel suo primo atteggiamento. A questo punto apparve lo sposo, con un ragazzino di circa dieci anni, che portava una specie di pasta nera su un piatto e la porse al sacerdote, il quale mise il piatto sul tappeto al suo fianco, prese un po’ di pasta, che in seguito seppi essere la keune, e la fece rotolare tra le dita fino a farne una palla mormorando una specie di incantesimo. Poi prese la mano dello sposo, che con il suo straordinario compagno si inginocchiò davanti a lui, e la chiuse, come se volesse mostrargli come si tira di boxe; ma le sue intenzioni erano di natura molto più pacifica. Tenendo la pallina di pasta sulla punta dell’indice, la introdusse nella mano del giovane e, lasciata in essa la maggior parte della pasta, ne estrasse una piccola quantità, la spalmò sull’orifizio del foro formato dalle dita piegate e, inclinando il pollice su di essa, sigillò l’intera mano e sembrò soddisfatto del risultato. Ma temendo, suppongo, che qualche circostanza imprevista potesse distruggere quest’opera capitale, arrotolò più volte un fazzoletto intorno alla mano chiusa dello sposo e non se ne andò finché non si fu accertato che scioglierla non sarebbe stato un affare di un istante. La stessa operazione fu compiuta sulla testa del bambino; dopodiché, entrambi si alzarono e erano sposati, non uno con l’altro, ma con una povera ragazza, che non aveva preso parte alla cerimonia. Che cosa fece in quel periodo? Nient’altro che quello che aveva fatto fin dall’inizio di quel giorno memorabile: piangeva, e io provavo davvero molta compassione per quella povera creatura.
Altre persone, tuttavia, erano meglio occupate all’interno del balamut. Una ragazzina di dodici anni e un ragazzo della stessa età stavano preparando il divano per la nuova coppia, inginocchiandosi, facendo la corte e cantando a ogni nuovo pezzo di arredamento. Sistemati i materassi, fecero una genuflessione; sistemati i cuscini, si prostrarono sul pavimento; sistemate le lenzuola e le coperte, incrociarono le braccia sul petto, chinarono il capo e cantarono per tutto il tempo. La vista dei loro movimenti era piuttosto piacevole.
A quel punto mi ritirai e rimasero solo i parenti più stretti dello sposo. Ma il mattino seguente andai, come richiedeva il galateo, a fare i miei complimenti alla nuova coppia, e trovai il volto della giovane sposa raggiante di sorrisi. Mi complimentai con lo sposo per l’efficacia dei suoi tentativi di consolazione, aggiungendo che non avevo mai visto tante lacrime asciugate in così poco tempo. “La ragazza era piuttosto giù, ieri, nel lasciare la sua vecchia casa”, rispose la cognata; “ma per quanto riguarda le lacrime, non ha significato; avrebbe dovuto piangere e ha fatto bene la sua parte”. E giurai di non cedere mai, in futuro, alla compassione per una ragazza che piangeva, senza prima accertarmi che non fosse per galateo e decoro che lasciasse uscire le lacrime (parole mancanti) dagli occhi.
Christine Trivulzio di Belgiojoso
[1] Così nel testo. Franks nel senso di francesi, in realtà la fattoria di Cristina.

Lettere di un’esule – 16

By esule, I suoi articoli

Abbigliamento e Pulizia Turca.

Corrispondenza del N.Y. Tribune.

Asia Minore, Lunedì 8 Settembre 1851

Quasi nessun turista orientale ha mai vissuto senza dedicare alcune pagine dei suoi viaggi a maledire la polvere, lo sporco, gli odori e i parassiti del mondo asiatico. Troppo onesto per contraddire la verità di tali rapporti, devo comunque difendere, se non la pulizia positiva dei Turchi, almeno il loro amore per la pulizia. Nulla li sorprenderebbe più del rimprovero di essere trasandati, che essi elargiscono anche più generosamente ai loro vicini europei, senza dire nulla del disgusto che manifestano verso tutti tranne che verso loro stessi, l’unico popolo, come credono fermamente, che osservi perfettamente le regole della pulizia.

L’opinione pubblica non è mai completamente sbagliata, e l’opinione pubblica turca è che la pulizia è proprietà esclusiva del popolo orientale, mentre quella del resto del mondo è completamente agli antipodi di questa, quindi deve esserci verità da entrambe le parti, e la differenza deve risiedere nel diverso punto di vista dal quale viene esaminata la questione. Nel mio ruolo di osservatore imparziale, relaterò fedelmente su quali basi ciascuna di queste opinioni sia fondata, lasciandovi il compito di decidere tra loro.

Innanzitutto, il Turco dice: “Ci laviamo il viso, le mani e i piedi cinque volte, o almeno tre volte al giorno, (alcuni di loro si lavano anche più frequentemente, e se, durante l’intervallo tra le loro abluzioni e l’inizio delle loro preghiere, qualcosa li tocchi o cada accidentalmente sopra su di loro, che considerano coinvolta nell’impurità, tornano a lavarsi di nuovo.) Avendo i capelli rasati a zero, non diventano, come avviene con i poveri cristiani, i repellenti recipienti di ogni sorta di sporcizia. Mangiando con le nostre dita, non mettiamo in bocca le posate che sono passate successivamente attraverso molte altre labbra, una pratica che ci sembra estremamente disgustosa. Ci laviamo accuratamente le mani prima di intingerle nei piatti, e le laviamo altrettanto accuratamente dopo averlo fatto. Ci soffiamo il naso con le dita, cioè lo pizzichiamo artisticamente tra due dita della nostra mano destra, soffiando contemporaneamente con grande vigore, in modo che nulla tranne che la madre terra riceva l’impunità – quella buona e sofferente madre terra, che non disdegna di inghiottire persino la polvere delle nostre ossa. Non c’è nelle nostre case un mobile così disgustoso come un letto, e nei luoghi più poveri nessun occhio è rattristato dalla vista di lenzuola sporche o federe. Ci laviamo una volta alla settimana o più spesso, e questo è considerato da noi come un dovere religioso, dal quale nessuno, povero o ricco, può dispensarsi. Abbiamo, quindi, il diritto di gridare vergogna per l’impurità delle nazioni cristiane, e di chiamarci noi stessi i veri adoratori della purezza e della pulizia.”

Ora la risposta del cristiano: “Vi lavate cinque volte al giorno, è vero, se immergere le mani, i piedi e il viso in acqua, dove ci vorrebbero ore di insaponatura e strofinamento per renderli tollerabilmente puliti, può essere chiamato lavarsi. Ma il motivo del vostro lavaggio non è quello di rendervi puliti, ma solo di compiere un rito religioso; ottenete la vostra abluzione senza preoccuparvi del suo effetto materiale e diretto. In una parola, siete sporchi dopo il lavaggio come prima. È vero che le persone ricche e ben educate hanno mani e piedi puliti, e a volte mostrano una sorta di innocente civetteria nel fatto. È vero che tale precauzione diminuisce il disgusto che altrimenti si proverebbe nel vostro modo di mangiare, immergendo alla rinfusa le dita in un solo piatto: ma se ci sono alcune mani bianche e profumate in Oriente, ce ne sono molte altre che sono nere, ruvide, dure e decisamente sporche; e queste hanno altrettanto diritto di immergersi nel vostro sugo delle mani più bianche e curate. Per quanto riguarda il soffiare il naso, non diremo nulla a riguardo, parlando, come sappiamo di fare, a credenti nel fazzoletto da tasca, anche se voi fingete di considerare quei fazzoletti da tasca dei più odiosi accessori, da indossare solo da mangiatori di maiale e da altre creature impure. Non dormite in letti, e quindi non avete letti sporchi in vostro possesso, il che è abbastanza positivo; ma i vostri divani non sono nulla di cui vantarsi. Non vi spogliate mai di notte, e pensate che sia un grande vantaggio non essere obbligati a vestirvi al mattino; ma poiché la necessità non vi costringe, e la pigrizia vi seduce, passate settimane e mesi senza slacciare le vostre cinture, togliervi i turbanti o cambiare la vostra biancheria intima. Vi vantate dei vostri bagni; ma i poveri, che vivono in villaggi sparsi, non hanno bagni, e gli abitanti delle città non si bagnano mai per amore della pulizia.

Quando sentiamo la parola bagno, siamo abituati a immaginare una certa quantità di acqua in cui ci si tuffa, rimanendo in essa da un quarto d’ora a un’ora intera. Ma è una cosa completamente diversa in Oriente. Là, un bagno è semplicemente una grande stanza, o un piccolo armadio, pavimentato in pietra, con pareti scure e sporche, e un’atmosfera così soffocante che la sudorazione non tarda a comparire abbondantemente, e in questa sudorazione sola il bagnante è avvolto. Una o due donne, o uno o due uomini, a seconda di ciò che preferisce, appaiono sulla soglia della piccola cella, quasi nudi come lui; indossano niente altro che un sorta di panno intorno ai fianchi, anch’esso coperto di sudore e rosso e quasi scoppiante, come lo stesso bagnante; si siedono accanto a lui e cominciano a strofinarlo con un pezzo di sapone, che, grazie al sudore sopra menzionato, aderisce alla pelle. Quando è rivestito di uno strato di sapone, i suoi assistenti afferrano un guanto di crine di cavallo, proprio come quello usato dai garzoni, o guardiani, per lucidare la pelle dei loro cavalli, e seguendo lo stesso principio, cominciano a privarlo del sapone e di parte della sua pelle. Quella parte è davvero molto considerevole, e vi permette di avere un’idea della quantità di quel tessuto con cui potete fare a meno con perfetta impunità. Questo è certamente un processo singolare, ma difficilmente può essere considerato tra quelli di lucidatura o pulizia; e oserei dire che un bagno tranquillo in un fiume limpido, o un lavaggio ancora più modesto alla sorgente più vicina, farebbe molto di più per la pulizia rispetto al elaborato e piuttosto disgustoso bagno a vapore e al massaggio con il guanto di crine dei cavalli dell’Oriente.

Quello che è davvero intollerabile in Asia è la quantità di insetti domestici con i quali sei costretto ad associarti in stretta intimità, faccia quel che fai per prevenirlo. La causa è nella suddetta abitudine di indossare gli stessi indumenti settimane e mesi, senza toglierli, come facciamo noi, di notte, per rimetterli al mattino. Le persone povere in Asia non pensano mai a cambiare la loro biancheria intima finché possono sopportare la presenza dei loro innumerevoli compagni; e se rifletti su quanto siano abituati alla loro compagnia fin dalla nascita, ammetterai che ciò che non possono sopportare più a lungo deve essere qualcosa di terribile davvero. In molti paesi europei, in Spagna, ad esempio, e in alcune parti d’Italia, quella parte del mondo vivente che il signor Tappee definisce Kangorooism, è molto numerosa. Uno dei quadri più ammirati di Murillo[1] raffigura un mendicante spagnolo che uccide diverse varietà di kangaroo che si aggirano sulla sua giacca. Ma, come lo esprime Murillo, è un giorno per uccidere il nemico; e quel giorno essendo generalmente il sabato, ogni domenica è relativamente tranquilla e serena. Ma non c’è una tale stagione in Oriente, dove la vita del più piccolo e umile insetto è considerata molto più degna di rispetto di quella della sua vittima umana. Devo confessare di aver più di una volta scoperto un Turco che evacuava il suo turbante, ma non in modo non gentile o distruttivo. Gli abitanti del turbante venivano tranquillamente e saldamente depositati sul terreno, dove lui sedeva, e lasciati perfettamente liberi di scegliere nuovi quartieri, cosa che non tardavano a fare. Devo affrettarmi a osservare che queste disgustose legioni sono infinitamente più numerose nelle città, e nelle case persino dei cittadini ricchi, che nei più poveri abitacoli della misera gente di campagna. A volte ho dormito abbastanza indisturbata in una capanna miserabile; ma non ho mai goduto di un’ora di sonno negli harem di famiglie ricche e ben educate. I tappeti, i cuscini e i materassi, le pareti in legno sono un rifugio sicuro per i kangaroo più delle dure e nude terre, e le pelli di cervo o di lupo delle case e dei mobili ricchi, e si attaccano alla povertà e alla miseria. L’orgoglio turco si gonfia straordinariamente solo all’idea che i cristiani mangino maiale, rane e in generale, tutte le specie di animali senza che siano stati precedentemente dissanguati. Questo è basato su un principio di igiene, e non ha nulla a che fare con la pulizia.

 

Cristina Trivulzio di Belgiojoso

[1] Bartolomè Esteban Murillo, Bambino che si spulcia, 1645-1650, Parigi, Louvre

Lettere di un’esule – 14

By esule, I suoi articoli

Lettere di un esule. No. XIV

Vita privata del mussulmani

Asia Minore -Mercoledì 20 agosto 1851

Alcune parole di più sui mussulmani non istruiti, e sulle conseguenze fatali della loro ignoranza. Totalmente privati di qualsiasi mezzo di comunicazione con il mondo esterno, sia dai libri che dalla conversazione, i sudditi asiatici del Crescente non sanno nulla di ciò che accade a poche miglia dalla propria casa, e sono irrimediabilmente ignoranti dell’esistenza della scienza, dell’arte e dell’industria. Non hanno idea della loro inferiorità rispetto ad altre nazioni e più volte mi hanno chiesto se nel mio paese sapevamo come piantare il grano e fare il fieno. Quando ho cercato di mostrare loro qualche modo più semplice ed efficace per eseguire i faticosi compiti, si sono meravigliati del mio intervento e hanno sorriso piuttosto benignamente, come a dire: “sei una persona ben intenzionata, ma non hai bisogno di preoccuparti, sappiamo fare molto meglio noi”.

Le nazioni progrediscono nella civiltà come se fossero membri di un unico individuo, aiutandosi a vicenda con i loro punti di forza e i loro doni, in modo che i passi tracciati da uno non debbano essere ripetuti dall’altro. Ma l’Impero Ottomano non ha alcuna parte in quel progetto di partnership provvidenziale; ciò che è stato scoperto, provato e perfezionato nel resto del mondo gli è sconosciuto, e per mantenere il suo posto sullo stesso piano dei suoi vicini civilizzati, sperava di possedere in sé l’intera massa di talento, attività, saggezza e perseveranza distribuita tra gli altri abitanti del mondo. Che ciò non sia il caso non ha bisogno di dimostrazione. Ma le conseguenze di una tale ignoranza totale non si limitano alla più assoluta incapacità di procedere sulla via della civiltà, ha un effetto morboso e dannoso sulle facoltà morali degli Osmanlii. Estraneo all’arte e all’industria, insensibile persino alla curiosità, poiché ignora che ci sono cose degne di essere conosciute, la sua vita è solo il sogno lucido di un’intelligenza a metà viva. Una minoranza è formata da molti successivi deserti, animati solo (se può essere chiamato animato) qua e là da abitazioni sparse contenenti soldati che la vigilanza del governo destina alla sicurezza dei viaggiatori o da alcune capanne ancora più misere in cui risiedono intere famiglie. In ogni capanna una sporca stalla è accompagnata dalle donne; un’altra ancora più sporca dall’uomo. Ma parlerò più avanti della miseria di queste abitazioni turche; e, inoltre, cosa significa la mancanza di ogni conforto materiale di fronte alla desolazione derivante dall’oscurità intellettuale?

Queste, naturalmente, sono famiglie di campagna, e vivono dei frutti del suolo, ma tali frutti sono scarsi, sebbene facilmente ottenibili. Alcuni allevano crudelmente i loro cavalli e mucche. Altri si accontentano di zuppa, insalata e meloni per se stessi; due o tre ore di lavoro al giorno per quattro o cinque settimane all’anno sono sufficienti per estrarre tutto ciò di cui hanno bisogno da uno dei suoli più ricchi del mondo. I soldati, dispersi per le valli e le montagne, sono ancora più inoccupati.

Quando la colonna passa, o alcuni viaggiatori solitari, uno, due o tre dei Zaptiye[1] si alzano dai loro giacigli, accendono le micce dei loro fucili, e chiedono ai viaggiatori attraverso quella parte di strada che si dice pericolosa. Ottengono qualche piastre e, tornando alla caserma, riprendono il triste corso delle loro vite. Qualcosa di pesante e desolato mi opprime il cuore quando contemplo questi uomini dalla costituzione robusta e dal colorito scuro, immagine stessa della forza fisica e della fermezza morale, seduti per terra con le gambe piegate sotto di loro, gli occhi stupidamente fissi nel vuoto, le pipe in bocca, senza dire una parola o compiere un movimento, ugualmente privi di pensieri o sentimenti, e quando penso che dalla loro infanzia alla loro vecchiaia non c’è stato e non ci sarà un giorno migliore di un altro.

Viaggiatori, storici e filosofi hanno cercato di spiegare il strano torpore della mente orientale nell’influenza narcotica del tabacco e dell’oppio, ma sono piuttosto incline a considerare gli effetti di queste due piante come un mitigazione della noia totale che una vita del genere deve necessariamente ispirare anche al più dotato degli esseri umani.

La vera, l’unica ragione per l’azione totale del popolo orientale è la mancanza di eccitazione; quindi l’uso del tabacco, dell’oppio e forse del caffè, privandoli della consapevolezza del tempo che passa lentamente e della monotonia invariabile della loro esistenza, li preserva dalla disperazione alla quale, ma per questo, sarebbero vittime.

L’osservanza dei loro doveri religiosi è un’altra fonte di sollievo per il mussulmano stanco. Cinque volte al giorno si alza in piedi, deposita la sua pipa in un angolo, lava i suoi piedi, le sue mani, le sue braccia, il suo viso, il collo e la testa, prima di inginocchiarsi. Gira il viso verso La Mecca e ripete la formula sacra. Non pregano come facciamo noi, poiché la loro fede nella predestinazione di tutti gli affari umani impedisce loro di avere fiducia nell’efficacia delle suppliche. Le loro orazioni sono una serie di esclamazioni riguardanti gli attributi divini e le perfezioni del profeta, accompagnate dalla ripetizione di alcuni versetti del Corano, come se volessero far sapere a Dio e ai suoi Profeti che il loro libro mortale non è dimenticato dai fedeli. Questo non è tutto il Ramadan, la Quaresima Mussulmana, è una crudeltà. In ogni vita musulmana, e alla fine di essa, il digiunatore attenuato deve ritornare con nuova voglia al suo cibo ordinario, e sperimentare una deliziosa sensazione di sollievo nella routine del suo stupido esistere. Durante quel crudele Ramazan (un mese), ogni mussulmano digiuna dal sorgere al tramonto del sole, e quando il Ramazan capita di cadere d’estate, come ora, nessun uomo, dopo il suo decimo anno – sia in buona salute che in cattiva, lavoratore o persona sanitaria – osa mangiare un solo boccone o bere una goccia d’acqua per sedici o diciassette ore. Cosa possono fare per aiutarsi? Dormire durante tutto il giorno; e così fanno, alzandosi quando il sole tramonta e riempiendo i loro stomaci il più possibile durante le ore notturne. Conosco diversi individui così terrorizzati all’idea di sopportare le torture di 16 ore di fame continua che non sono mai soddisfatti delle precauzioni prese contro queste, e finché dura l’oscurità, tornano indietro e indietro ai loro rituali, come un assediante che controlla le sue fortificazioni per assicurarsi che siano in buono stato e ben difese. Ma non appena il sole sorge ad est, ogni muscolo fedele si lega attorno alla sua vita e rimane nella più completa immobilità fino a quando non è di nuovo notte, senza osare muoversi o parlare per paura di risvegliare il suo appetito addormentato. Pensa solo a come gli abitanti delle zone agricole compiono i loro lavori giornalieri e più necessari, quando il Ramazan capita nella stagione della mietitura. Il grano si secca sulle spighe e cade sul suolo arido; i bachi da seta periscono per mancanza di cure; le viti non vengono potate, tutto va in rovina perché Maometto, nel suo desiderio di fermare l’avidità dei suoi seguaci, ha dimenticato le necessità della vita. Ma, come ho detto, il Ramazan spezza la monotonia dell’esistenza del Turco, e il primo boccone di kebab (agnello arrosto) che mettono in bocca alla luce del giorno nel giorno del Beiram, dopo il digiuno di un mese, è una fonte di gioia pura. Per alcuni giorni dopo la fine del Ramazan, un sorriso si dipinge sui bei tratti di ogni mussulmano, e sembrano dimenticare per un po’ il pesante peso della loro vita stanca e senza scopo.

Cristina Trivulzio di Belgiojoso

[1] La parola turca zaptiye designava la l’organizzazione militare di polizia dell’impero ottomano

Lettere di un’esule – 13

By esule, I suoi articoli

La stagnazione della Turchia – Incapacità di progredire.

Corrispondenza del New York Tribune

Asia Minore, giovedì 7 agosto 1851.

Ho già parlato in modo generale della condizione morale, intellettuale e politica delle nazioni islamiche: le ho definite incapaci di qualsiasi progresso ulteriore nella vita civile; ho deplorato la loro decadenza attuale e fatale e accennato alla legge islamica come alla legge della spada, una legge adatta solo a creare soldati disperati e feroci, ma completamente inapplicabile alle esigenze della civiltà, perché distrugge ogni legame affettivo, sentimento ed abitudine. Ora il mio scopo è mostrarvi come il Corano, il grande libro dell’Oriente, che ha lottato per molti anni contro il politeismo, l’idolatria e la superstizione più stupida e feroce, e ha insegnato per la prima volta alle numerose nazioni dell’Asia l’esistenza di un essere immateriale e unico superiore a tutto il mondo che ha creato, come quel libro ha infine portato i suoi seguaci al basso livello di degradazione che è ora la triste sorte delle nazioni orientali. Diciamo una parola prima sull’istruzione popolare, e più particolarmente sulla letteratura.

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Lettere di un’esule – 7

By esule, I suoi articoli

La condizione domestica e sociale dei Turchi.

Costantinopoli, venerdì 15 novembre 1850

Agli Editori de The Tribune:

Recentemente vi ho detto che la nazione turca, destinata a imprese bellicose, non era costituita per una vita pacifica; così che, una volta chiuso il campo di azione, non poteva evitare un rapido declino e una morte prematura. Uno schema breve della condizione attuale dei seguaci di Maometto illustrerà appieno il mio significato.

Nessun popolo può sviluppare e mantenere la sua forza vitale ed energia durante un periodo di pace se non attraverso il lavoro; vale a dire, attraverso il commercio, le arti e l’industria, ognuna delle quali è vietata dalla legge musulmana. Tuttavia, un popolo può perdere la sua energia e di conseguenza la sua ricchezza, senza cadere molto in basso nell’estimazione di altre nazioni, e senza degradare il proprio carattere o essere.

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Lettere di un’esule – 6

By esule, I suoi articoli

Lo Spirito dell’Islam – Declino della Turchia.

Costantinopoli, venerdì 25 ottobre. All’Editore del Tribune:

Dopo aver rapidamente delineato la condizione dei diversi Stati europei, ci resta da considerare le circostanze in cui l’oriente, sempre misterioso e creatore di meraviglie, si trova attualmente, e le conseguenze probabili che ne potrebbero derivare nei prossimi anni. Per quanto ne so, né le popolazioni musulmane né le leggi musulmane sono mai state esaminate in modo imparziale e sagace. Entrambe sono state oggetto di ira bigotta o di entusiasmo filosofico infantile. I cristiani hanno stigmatizzato il Profeta dell’Oriente come un pazzo, una sorta di ultraradicale epicureo che ha fondato una religione solo per soddisfare istinti bestiali ed eccitati; un impostore, un ateo, lo spirito incarnato dell’immoralità. Mentre vari nemici della fede cristiana e di tutte le sue conseguenze hanno cercato di stabilire una vergognosa e ridicola comparazione tra il divino fondatore della nostra religione e il Profeta degli Ottomani, pretendendo anche di scoprire in molti punti una superiorità del secondo sul primo.

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Lettere di un’esule – 5

By esule, I suoi articoli

La tragicommedia dei tedeschi – Potere russo e schemi russi.

Costantinopoli, sabato 5 ottobre 1850.

La recente storia della Germania si racconta presto. Le classi superiori sono nemiche della riforma e delle rivoluzioni, a causa del loro egoistico attaccamento ai privilegi; le classi inferiori sono indifferenti, essendo abbastanza felici con vestiti, cibo, lavoro e pace. Dei diritti politici sanno molto poco e quindi se ne curano ancor meno. La rivoluzione ebbe origine interamente dalla classe media, molto numerosa, che includeva gli studenti e i professori delle università, avvocati, medici, il clero e tutti coloro che sono considerati uomini di scienza.

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New York Daily Tribune 1850-1853- Lettere di un’esule

By altri_articoli, evidenza, I suoi articoli, news
Alcuni anni fa ho ritrovato diverse lettere inedite di Cristina pubblicate negli anni 1850-1853 sul New York Daily (e Weekly) Tribune.

Le lettere trattavano di politica internazionale, della cultura turca e delle avventure di Cristina in queste terre così lontane dalla sua Lombardia.
Anche se simili nel contenuto sono differenti dalle storie pubblicate nella Revue des deux Mondes dal 1855 al 1858.
Nei primi mesi del 2011 sulla rivista “Storia in Lombardia” ne e’ stata pubblicata una selezione. («Memorie di un esule». Gli articoli di Cristina di Belgiojoso su un giornale americano.”)

In questo articolo promettevo di pubblicare la traduzione ma purtroppo il tempo è passato e la cosa non è mai stata fatta. Visto che ancora non sono state pubblicate da nessuno, anche se con un ritardo notevole, provvedo a pubblicarle.

Qui sotto trovate l’introduzione alla pubblicazione della serie di lettere di Cristina sul giornale americano e più in basso la lista ( non ancora completa) e la mia trascrizione.

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“La Démocratie pacifique”, 20 maggio 1845 – Progressi del principio di associazione in Lombardia.

By Gli articoli che parlano di lei

Questo articolo è anche ripreso dal Journal d’agriculture pratique, settembre 1845, pagine 115-117.

Progressi del principio di associazione in Lombardia.

I nostri lettori non leggeranno senza interesse la traduzione di una lettera indirizzata al direttore della Gazzetta privilegiata di Milano, e inserita in questo giornale il 2 aprile; si uniranno a noi nei voti e nelle speranze espresse nell’ultima parte di questo lavoro.

Signor Direttore,

Il soggiorno di Sua Altezza la principessa Cristina di Belgioioso, nata marchesa Trivulzio, a Locate, soggiorno che è stato già segnalato da istituzioni considerevoli di beneficenza pubblica, ha dato luogo, quest’anno, alla fondazione di due istituti completamente nuovi nel paese, e che meritano di essere portati alla conoscenza del pubblico. È per questo che le indirizzo questa lettera, pregandola di farla pubblicare sulla Gazzetta privilegiata. So con quale premura le piaccia rendere pubblico tutto ciò che può contribuire al vantaggio generale.

Fin dall’inizio dell’inverno, la principessa aveva pensato di erigere a Locate un luogo di riscaldamento pubblico dove i membri delle famiglie che compongono la popolazione potessero essere al riparo dalla rigore della stagione, e dove le donne potessero continuare i loro lavori ordinari.

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Gazzetta Privilegiata – 2 Aprile 1845 – G. Lambertini – Opere a Locate

By Approfondimenti, Gli articoli che parlano di lei

n. 92 – 1845                                                                                       MERCOLEDI’ 2 APRILE

GAZZETTA PRIVILEGIATA DI MILANO

 

Appendice

Pregiatissimo Signor Estensore,

Il soggiorno della signora Principessa Cristina di Belgiojoso, nata Marchesa Triulzi in Locate, che fu già negli anni scorsi contrassegnata dalla istituzione di considerabili pubbliche beneficenze, ha in quest’anno dato luogo alla attivazione di due stabilimenti, che per essere in questi luoghi affatto nuovi, meritano, a parer mio, di essere portati a cognizione del pubblico. Egli è perciò che io oso dirigere a Lei la presente, interessandola a volerla inserire nella sua Gazzetta privilegiata, dal che mi lusinga il sapere come Ella accolga con premura e si compiaccia di render pubblico tutto ciò che può contribuire al comune vantaggio.

Fino dal principio dell’inverno la signora Principessa aveva ideato l’erezione in Locate di un pubblico scaldatojo, dove potessero gl’individui, se non di tutto, almeno della maggior parte delle famiglie ond’è composta la popolazione del principale abitato del Comune di ripararsi dal rigore della stagione; e quanto alle donne, attendervi ben anche agli ordinarj loro lavori.

Questa idea fu ben tosto realizzata dietro le disposizioni da essa impartite, e corso appena il tempo necessario all’adattamento del locale venne infatto attivato lo scaldatojo in un ampia sala comodamente capace per 300 piazze, salubre per la sua esposizione a perfetto mezzogiorno, possibilmente guarentito [sic] dall’umidità, mediante un ben costrutto pavimento, assai bene ventilata, e con luca abbondantissima derivante da mole e larghe finestre munite di invetriate, illuminata la sera da molteplici lampade, e finalmente riscaldata colla maggiore regolarità da una stufa proporzionata alla vastità del locale. Lo scaldatoio è accessibile all’alba del giorno, e rimane aperto fino alle undici ore della sera. E’ inutile dire come tutte le famiglie de’ villici ed artigiani del paese ne abbiano a gara ricercato l’accesso, e tutti l’ottennero finché il permise la capacità del locale, di modo che fino dal primo giorno della sua attivazione lo scaldatojo ricoverò circa trecento individui che prima erano costretti a disperdersi in angusti tugurj, che tali possono chiamarsi le piccole stalle sparse per il paese eccessivamente, malsane per la loro ristrettezza, per l’umidità derivante dalla pessima loro costruzione, e per le fetide esalazioni che vi diffonde la permanente dimora delle bestie che vi sono ricoverata, e l’ammasso de’ loro escrementi frammisti a vegetabili che vi si lasciano imputridire.

Volle la signora Principessa che l’ideato stabilimento non solo offrisse un soccorso materiale al bisogno della indigenza, ma somministrasse altresì nel radunamento di quasi tutte le famiglie una favorevole occasione per ispirare a tutti in comunione i sentimenti di una reciproca ed amorevol fratellanza, per ravvivare in essi l’osservanza de’ principali doveri di religiorni e di società.

Ad ottenere questo scopo, prescrisse che apposite persone, fornite di sufficiente capacità e distinte per carattere e condotta, si prestassero a farvi in ore determinate della giornata lettura di libri adatti alla comune intelligenza, e vi si mantenesse la pratica delle solite preci segnatamente la sera prima di separarsi.

All’apertura dello scaldatojo tenne dietro una seconda filantropica e vantaggiosissima istituzione, quella cioé di una cucina economica eretta e mantenuta a spese della prefata signora Principessa, e collocata a lato dello scaldatojo suaccenato, dalla quale si dispensano giornalmente al mezzogiorno, e talvolta anche la sera, quante minestre vengono richieste, composte alternativamente di riso e pasta, frammisti a legumi o verdura, e condite con lardo, butirro [burro], olio, ecc. La quantità di ciascuna minestra è determinata alla capacità di un boccale, e si dà al prezzo di dodici centesimi 1, prezzo che andrà presto a diminuirsi riducendosi a soli dieci centesimi, dacché accrescendosi per le mote ricerche che se ne fanno, l’ordinaria distribuzione va a rendersi proporzionalmente minore il costo delle medesime. Il pagamento delle minestre che si somministrano, può farsi giornalmente, in fine d’ogni settimana,od anche maggior periodo di tempo, o a denaro che si raccoglie da persona a ciò delegata o con lavori di determinato prezzo, pei quali si somministrano dalla nobile istitutrice le materie prima, come sarebbe lino da filare, filo da tessere o far calze, tele da cucire, ecc.
E notisi che anche i prodotti di questi lavori sono già dall’animo benefico della signora Principessa destinati in prevenzione o a far parte delle abbondanti elemosine che per le si distribuiscono durante il corso dell’anno, o ad essere vendute al pure costo in occasione di sagre, o di altre circostanze che attirino affluenza di persone da’ luoghi circonvicini in paese, nella vista di fornir mezzi anche ai meno bisognosi di probbedersi con minor dispendio degli ogetti di lingeria, o di vestiario occorrente alle loro famiglie.

Per ben calcolare i vantaggi che devono emergere dalle sovraccennate istituzioni, è d’uopo por mente al depredamente a cui vanno generalmente soggette le campagne poste in vicinanza de’ luoghi abitati per l’arbitrio che prendonsi tratti da necessità i piccoli artigiani e giornalieri non appostati di procurarsi il combustibile per uso delle rispettive loro famiglie sui fondi altrui.

Ora cessando, o simmamente diminuendosi nella famiglie il bisogno di combustibile, chi non vede come tolto ogni pretesto alla devastazione delle piantagioni nelle limitrofe campagne, vada ad essere per l’avvenire più rispettata o guarentita [sic] l’altrui proprietà?

In questi paesi poi, ne’ quali l’agricoltura esige in diverse epoche anche l’opera materiale delle donne, considerabile esser deve per queste il risparmio del tempo che esse dovrebbero perdere giornalmente per l’apprestamento del cibo alle loro famiglie, e questo risparmio rinvengono nella distribuzione di una sana minestra ad un prezzo limitatissimo e facilmente scontabile. Si accresce quindi il giornaliero loro travaglio, del quale si aumenta proporzionalmente il prodotto,  e quindi maggiori divengono per ciascuna famiglia i mezzi onde provvedere ad una onesta sussistenza.

Tali sono i vantaggi diretti e reali, che a mio credere devono aspettarsi dalle due istituzioni sovraccennate, le quali non costituiscono forse, se non una piccola parte dei tratti esimj di beneficenza, che dalla nobil dama da più anni si diffondono in questo paese, che oltre al nobilitarlo col presceglierlo a suo soggiorno per non poca parte dell’anno, e collo stabilirvi la numerosa e scelta sua libreria, ed una delle migliori e più pregievoli raccolte di medaglie, Ella si mostra poi intensamente inclinata ad abbellirlo, non risparmiando perciò nè sagrificj, nè dispendio. Vi diffonde copiose elemosine, e pensa a provvedere a migliorare la condizione de’ bisognosi non solo, colle frequenti visite a domicilio, e colla caritatevole somministrazione de’ medicamenti, e di altri non iscarsi soccorsi, ma quella altresì degli altri abitanti di esso se altro non fosse col promoverne l’istruzione.

A questo proposito potrebbe esser fatta menzione, e della scuola infantile a tutte sue spese eretta e mantenuta già da più anni nella quale si tengono giornalmente ricoverati, cutoditi, alimentati ed istruiti cinquanta infividui delle più povere famiglie dell’età di due anni e mezzo ai sei, dell’altra scuola nella quale per di Lei ordine e col mezzo di una delle donne attinenti alla di Lei casa si istruiscono nei lavori donneschi le ragazze, che avendo tocco l’anno dodicesimo di loro età vengono a tenore de’ Regolamenti dimesse dalla scuola elementare; nè a ciò si limita l’istruzione delle suddette fanciulle, che anche nel leggere, scrivere e conteggiare sono assai bene ammaestrate da persona regolarmente abilitata a tale insegnamento, e finalmente e di quella che si fa per di Lei disposizione in giorni determinati della settimana a giovani di età superiore ai dodici anni per affrancarli nel leggere, scrivere e conteggiare, ed istruirli nei primi rudimenti dell’Algebra e Geometria, non che nei rami principali dell’Agraria. Ma queste istruzioni come che da più lungo tempo attivate sono già conosciute, e tutti hanno già avuto campo di calcolarne i vantaggi.

E qui non si limitano ancora i beneficj; ché la signora Principessa intenta sempre a procurare il ben essere di questi abitanti, h agià dato ordini positivi perché cominciando dall’anno corrente siano di mano in mano ricostrutte, e convenientemente adattate le case di sua proprietà, che servono ad uso di abitazione della maggior parte della popolazione in modo da renderle sane, ben ventilate, e capaci a soddisfare a tutt’i bisogni delle famiglie sceverandole da tutti gl’inconvenienti di insalubrità e di immondezza, che derivano dalla male ideata loro costruzione attuale. A quest’opera si è già posta mano sotto la direzione del sig. ingegnere architetto Maurizio Garavaglia, procurator generale della nobile signora, il quale, e per genio, e per zelo nell’adempimento delle di Lei disposizioni si mostra attivissimo e premuroso di ridurla al compimento.

Possa questo nobile esempio essere di emulazione a tutti i facoltosi possidenti di questo Distretto, nelle proprietà dei quali si veggono caseggiati mal proprj, insalubri ed abbisognevoli di una pronta ed utile riforma.

Dei porchi cenni che io ho fatti delle beneficienze che un’anima nobile e generosa sa versare a larga mano sopra la popolazione di un intero paese, ognuno può di leggieri arguire quanto vantaggio ridonderebbe allo Stato, se le premesse istituzioni venissero con eguale filantropia e generosità estese su tutta la sua superficie per opera di quelli ne’ quali abbondano i mezzi di poterle attivare.

Oh! quanto consolante sarebbe il veder sorgere e diffondersi una si nobil secondatrice delle paterne cure dell’Augusto Monarca, e feconda delle benedizioni di tutti coloro nei quali un sì palese miglioramento materiale e morale accrescerebbe, se fosse possibile, l’attaccamento al Regime da cui deriva.

Locate, il 27 marzo 1845

G.Lambertini.

Abbiamo accolto con vero piacere la relazione di tante e sì proficue beneficienze, colle quali l’illustre nominata Dama si rende oggetto delle benedizioni del povero, E poiché in essa relazione si accenna all’istruzione religiosa che la Principessa intende sia primissima sopra ogni altra cosa, noi diremo esserci venuto a cognizione ch’Ella stessa, dotta come è nella musica, amò d’istruire gran numero de’ suoi dipendenti nella difficile esecuzione dello Stabat di Rossini, che con meraviglioso effetto si cantò il Venerdì Santo, e con tutto l’impegno si diresse dalla prelodata Principessa che in quella esecuzione ricreava l’anima e la sua mente. Un improvviso Sonetto corse, dopo breve momento, per quelle sontuose sale, e noi lo riferiremo senza farvi il più lieve commento, perché la spontaneità con cui è scritto basta a raccomandarlo.

 

IN OCCASIONE DELLO STABAT MATER DI ROSSINI

Eseguito dalle giovinette di Locate

Io non credea che d’inesperta voce
Trar si potesse mai sublime un canto;
E pur l’udiva, e parea dolce tanto,
Che la memoria ancor dentro mi cuoce.

Fu l’effetto al pensier così veloce(1),
Che creduto l’avria opra d’incanto
Se testimon del ver, non era il pianto
Che fea tenore all’inno della croca.

Oh com’è il core a ognun restò conquiso!
Oh qual vi scese allor conforto e calma
Da quella note si pietose e scorte:

(2) Quando il Corpo fia dato in braccio alla morte
Deh! fa, Signor, che sa donata all’alma
La gloria de’ beati in paradiso

(1) Quindici giorni o poco più fu il tempo che s’impiegò dalla signora Principessa all’istruzione delle giovanette esecutrici, digiune d’ogni nozione musicale.
(2) Quando Corpus morietur, etc.

 

 

Note:

1. Come termine di paragone, un giornaliero, ovvero un lavoratore preso “alla giornata” dai fattori, guadagnava circa una lira al giorno.
Trasposto ad oggi, dodici centesimi potrebbero essere qualcosa come 2 euro. Può essere interessante notare che un numero della Gazzetta Privilegiata di Milano costava 5 centesimi, per cui circa metà di una minestra. Considerando che anche oggi un giornale costa 1 euro, i conti tornano. 

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